A cura di don Ezio Del Favero

161 – La fine della valle delle meraviglie

Il paradiso in terra fu distrutto dalla cattiveria degli uomini alleati con il diavolo...

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(Seconda parte) – Le coste erano occupate dai Saraceni. Avidi di ricchezze e di stragi, nemici implacabili del cristianesimo, mettevano a ferro e fuoco i villaggi e i borghi, saccheggiando ogni cosa e traendo in schiavitù i paesani. Spesso risalivano le valli alpine e piombavano sulle terre montane seminandole di stragi e di rovine.

Capo di una di quelle orde che aveva occupato la val Roia era un certo “Ali-il-diavolo”, Emiro feroce. Alto, magro, nero come un tizzone spento, con un naso a uncino e un paio d’occhi grifagni, pareva proprio l’incarnazione del demonio. L’animo suo era tormentato da un’avidità di ricchezze che lo rodeva: per un pugno di oro o di argento avrebbe rinnegato Allah o ucciso i suoi. La sua scimitarra grondava di sangue innocente.

Una sera, vestito di porpora e di oro con il turbante scintillante di gemme, Ali stava sdraiato sui cuscini nella sua tenda ammirando una danzatrice. Gli fu annunciata una visita: una vecchia montanara affermava di dovergli confidare un grande segreto. Introdotta nella tenda, la donna, vestita miseramente, piegò le ginocchia e pronunciò le seguenti parole: «Nobile Signore, vengo dai monti a recarti un dono speciale. So che tu cerchi oro e argento nelle nostre terre. Io ti condurrò in un luogo ove questi nobili metalli si raccolgono senza fatica e in enormi quantità».

A quelle parole l’Emiro disse smanioso: «Dov’è questa terra che dici? Se menti ti taglio la testa!». «Il luogo è a poche ore di qui. Io stessa ti farò da guida». «Partiremo domattina all’alba. Se tu tradirai, avrai la più spaventosa delle morti. Se sarai fedele, potrai chiedere ciò che vorrai». «Io non voglio ricchezze. Solo vendetta e sterminio!». «Li avrai!». «Nobile Signore, sono la tua schiava!».

L’aurora tingeva di rosa le cime nevose dei monti quando la vita pacifica del paese della valle delle Meraviglie si ridestò. Uscirono gli armenti dal chiuso, fra muggiti e belati di gioia, verso i pascoli pallidi di rugiada; i gravi e pesanti buoi s’avviarono al duro travaglio dell’aratro, fumavano le casette lunghe spirali di fumo che si dipanava lentamente nell’aria immota.

All’improvviso, come eruttati da una bolgia di dannazione dalla gola dell’inferno, una moltitudine di uomini urlanti e agitanti armi spaventose dilagò per il piano e per il colle. In breve, d’ogni parte fumarono incendi e rosseggiò sangue innocente. Le messi furono calpestate, le case bruciate, le mandrie scannate.

I miseri abitanti furono trascinati su di uno spiazzo come bestie per il macello. Ali-il-diavolo scelse con cura gli uomini validi e li raccolse a parte. I vecchi furono scaraventati nel lago o uccisi sul posto. E la regina, la bella e dolce Alba, inseguita dagli invasori, precipitò da una rupe e si tramutò in una cascata.

Quella sera, l’ultimo raggio di sole, anch’esso color sangue, avvampò di rosso sulla cima del monte l’orrenda figura della strega Vernasca – la donna vestita di poveri panni che si era recata dal perfido Emiro – spaventevole nella sua satanica gioia.

Ali-il-diavolo si buttò sulle ricchezze della valle con insaziata sete. I poveri abitanti del regno, fatti schiavi, iniziarono a faticare da mane a sera a scavare la roccia, mentre gli aguzzini flagellavano loro le spalle. Oro e argento in grandi quantità venivano estratti e recati verso il mare da lunghe carovane di muli.

La natura della valle delle Meraviglie cambiò volto. A causa degli scavi frenetici, lunghe frane solcarono la montagna. I ghiacci, non più trattenuti in alto dalla barriera delle foreste, scendevano a valle in lunghe slavine. La vegetazione, combusta dagli incendi, non si riprodusse più e la valle prese un aspetto orrido e inospite.

I vecchi abitanti, quando non erano costretti alla dura fatica delle miniere, andavano attorno come trasognati, ripensando ai dolci giorni del passato, alle case diroccate, alle messi scomparse, alle mandrie uccise e divorate dai Saraceni e ai loro campi ove i buoi aprivano solchi fecondi.

Rosi da un tormento di nostalgia e di rimpianto, i sopravvissuti si misero a disegnare sulla roccia delle caverne i loro pacifici arnesi di lavoro d’un tempo, gli erpici, gli aratri, le zappe e le coppie di buoi aggiogati a due, a quattro, a sei. Qualche volta incidevano le sembianze dei loro aguzzini e, per il terrore, facevano le loro armi smisuratamente grandi. Così a poco a poco, per anni e anni, scrissero su dure pagine di granito la loro storia, dai tempi felici alla triste fine di un popolo che nei tempi antichi abitava la valle delle Meraviglie.


La parabola – raccolta nella Val Roia (Piemonte) – narra l’atavica lotta tra bene e male. Il paradiso in terra fu distrutto dalla cattiveria degli uomini alleati col diavolo. Il Male però non trionferà per sempre. Ma questa è un’altra storia…

Illustrazione di M. Poggi.