Ogni giorno, di buon mattino, stormi di pappagalli che abitavano nella foresta a ridosso dei monti, volavano sopra il villaggio, dirigendosi verso i campi. La sera, riattraversavano il fiume per raggiungere i nidi lontani e riposarsi. Al passaggio, salutavano i pappagalli domestici.
Coco, un pappagallo addomesticato, al riparo nella sua confortevole casetta, assisteva al passaggio dei fratelli selvatici. Talvolta, al sopraggiungere di un temporale, si inquietava per la loro sorte, rallegrandosi della propria condizione: bello grasso, caldo… soddisfatto di essere un pappagallo “domestico”. Pensava: «Ne ho fatta di strada! Sono diventato Qualcuno, i miei padroni mi venerano e mi coccolano».
Ma quando il cuoco gli si avvicinava gridandogli «Sporca bestiaccia!… Quando finirai di mangiarmi le arachidi?», Coco cercava di prendere il volo per scappare e solo allora si ricordava che i padroni gli avevano spezzato le ali. E diventava triste.
Come una vocina gli risuonava nel cuore: «Povera piccola creatura della foresta! Come ti hanno umiliato, allontanandoti dal tuo destino, per quella agiata e ben nutrita immobilità! Eppure, potresti essere felice, dal momento che non ti manca nulla, non hai fatto l’esperienza della miseria dei fratelli dei monti, non hai mai dovuto volare contro la forza del vento. Sei al calduccio, lontano dalle preoccupazioni e dai rischi della tempesta e dalle frecce dei cacciatori…».
Una sera, un pappagallo dei monti, spinto dalla forza del temporale, si posò accanto alla dimora di Coco: «Guarda chi si vede un povero “piedinudi”… Toh! Prendi un’arachide e un pochino d’acqua fresca!».
Ma il pappagallo selvatico temendo di essere catturato, rispose: «Preferisco partire. Vieni con me! Potremo parlare più liberamente».
Coco, con le lacrime agli occhi, mostrò le sue povere ali. «Povero te! – aggiunse lo straniero – ti hanno tolto il meglio della vita: la libertà, l’attimo magico e inestimabile in cui potersi specchiare in una pozzanghera e spruzzarsi come per gioco e poi sognare, volare, viaggiare…».
«E il cibo?», chiese Coco. Lo straniero: «La vera sofferenza, caro te, è di essere soffocati, come nel caso tuo… Non soffri la fame, è vero, ma devi ammettere che ti è impossibile conoscere la delizia dell’appetito, la preoccupazione del nido, la gioia dell’uovo che si schiude, il becco ricotto dal sole, lo stomaco vuoto, le piume inzuppate di pioggia… Non hai mai sperimentato l’emozionante scoperta di alcune gocce d’acqua nell’incavo di una roccia nel momento della sete, o il sapore di un’arachide dissotterrata a fatica… Che splendida la vita disputata, ogni giorno, a una sorte contraria! Che sensazioni di fronte al proprio coraggio, di giorno in giorno più forte, più abile, più fruttuoso! Che soddisfazione potersi sentire, fra gli altri, un pappagallo che vale!».
Coco: «Non capisco come si possa amare il pericolo!». «Sei schiavo delle comodità, povero Coco; non puoi neppure immaginare la vita sana e felice. Hai perso il senso della libertà! Il tuo residuo di cuore non sperimenta più sensazioni come la speranza e il desiderio. Ti manca la coscienza che qualcosa ti possa mancare! Mediocre fino ai desideri, ammesso che tu ne abbia, ti accontenti di troppo poco: un’arachide, per di più rancida, e un sorso d’acqua impura. La tua anima è rammollita dalla facilità e dalla pigrizia; soddisfatto pur senza ali, ti accontenti di umilianti carezze, ti lasci fare per un tozzo di pane! Morirai “tagliatofuori”, senza lasciar tracce nella storia del nostro popolo. Povero Coco, prigioniero sino alla morte!».
Il pappagallo dei monti concluse: «Sotto il peso dell’abbondanza e della noia, ti auguro di provare il senso della tua vera dignità. Ti auguro che un giorno, quando i padroni non riterranno più necessario tagliarti le ali, tu riesca a riprendere il volo e ad aggiungerti a noi! Addio, caro Coco, non ce la faccio più ad assistere al tuo presunto benessere. Io ho scelto la libertà!».
Il vento e la pioggia cessarono e il pappagallo dei monti si sentì più cosciente ancora dell’inestimabile valore delle ricchezze in mano sua: libertà, ebbrezza del rischio…
Coco, da canto suo, non ce la fece a rinunciare al lusso e alle sicurezze. Non seppe approfittare delle ali ricresciute e morì in gabbia, lontano dai suoi simili, con il cuore tormentato dai rimorsi e dalla nostalgia.
Insegna la parabola, raccolta in Africa: «Non bisogna augurarsi una vita facile e senza imprevisti. La vera miseria è la miseria del cuore, atrofizzato per mancanza di sofferenza, di amore e di libertà, mai reso buono e generoso dalle prove della vita: un cuore soffocato. Vera ricchezza è la sofferta libertà del cuore».