A cura di don Ezio Del Favero

167 – La nascita dalle caverne

I miti della nascita dalle viscere della terra presso gli indigeni amerindi

Facebooktwitterredditpinterestlinkedinmail

Mito irochese – I primi esseri sotterranei avevano già forma umana, ma vivevano come bambini in gestazione nel grembo della madre. Abitavano in un paese dove faceva buio e non brillava il sole. Uno di loro (Ganawagahha), avendo scoperto per caso un buco che portava in superficie, uscì dal sottosuolo e, vagando sulla terra, trovò un cervo che portò con sé. Sia per il buon gusto della carne che per la descrizione del paesaggio fatta dall’esploratore, la Madre decise che era meglio per tutti uscire. Così fecero e cominciarono a piantare grano e altro. Tuttavia, Marmotta (Nocharauosul) non uscì, preferendo rimanere sottoterra.

La parabola insegna: «C’è un prezzo da pagare per non uscire, per decidere di rimanere nell’oscura sicurezza del ventre materno: la creatura primordiale che non voleva uscire, Marmotta, rifiutando indipendenza e maturità, non poté conoscere l’evoluzione nella forma umana ma, al contrario, regredì allo stato animale».

Mito Apache – All’inizio la terra era coperta di acqua e tutti gli esseri viventi erano in un mondo sotterraneo. Poi la gente si mise a parlare, gli animali parlarono, gli alberi parlarono e le rocce parlarono. Il popolo divino e gli animali volevano più luce, ma gli animali notturni – l’orso, la pantera e il gufo – volevano l’oscurità. Quindi ci fu una sfida tra gli uomini e gli animali divini da una parte e gli animali notturni dall’altra. Alla fine, l’umanità riuscì a emergere dagli inferi, ma, anche se c’era luce, la gente vedeva ancora poco perché viveva nel mondo sottomarino. Da un buco si poteva osservare il sole in alto e scoprire così che c’era un altro mondo: la terra. Così furono costruiti alcuni piccoli monti per aiutare gli uomini a raggiungere il mondo. Dopo diversi tentativi, alla fine ci riuscirono. Tuttavia – dicono i saggi indiani – in un futuro non più lontano questo mondo non potrà più sostenere la vita e le persone saranno costrette a risalire di nuovo verso un’altra Terra, posizionata sopra il cielo.

Profetizza un capo indiano: «Il sole e la luna sorgeranno come prima. Questo luogo sarà oscuro e i popoli seguiranno il sole e la luna. Dicono che c’è ancora una parte del materiale da cui la terra fu fatta, materiale per altre terre e cieli, attualmente conservato da qualche parte e coperto da una montagna. Dicono che la terra dovrà essere distrutta due volte, una volta dall’acqua – e questo è già successo – e in futuro sarà distrutta per la seconda volta da un incendio. Prima o poi, questo accadrà, ma l’eroe dell’emersione (Jicarilla) tornerà, si prenderà cura del popolo prima che ciò accada e lo porterà in un altro luogo, sopra il cielo attuale».

Secondo questi miti amerindi e la loro visione del mondo, la razza umana deve progredire regolarmente attraverso le ere per non essere lasciata indietro nell’evoluzione, bloccata nell’oscurità e nell’oblio dei mondi precedenti, bui e sotterranei.

Mito Zuñi – Nel seno della Madre Terra c’erano quattro mondi-uteri sotterranei: lo stesso numero dei «soli» o ere precedenti a quella attuale in cui noi stessi viviamo. Come molte madri umane si preoccupano per il loro figli, così anche la Madre Terra chiese al nostro Padre Celeste: «Una volta nati, come faranno i nostri piccoli a distinguere un luogo da un altro, anche alla luce del Padre Sole?». Così, per paura che i suoi figli non fossero ancora pronti per l’indipendenza, lei li teneva nel profondo del suo utero più nascosto. Così gli esseri abitavano nell’oscurità come animali incompiuti, bruchi o girini. Vivevano in uno spazio ristretto ed erano infelici, strisciando, brontolando, imprecando e gemendo.

Un giorno, alcuni di loro cercarono di scappare. Uno di loro, Poshaiyank’ya, scalò le quattro viscere della Madre Terra e raggiunse la superficie, che all’epoca era un’enorme isola dolce. Pregò Padre Sole di liberare il suo popolo e questi, commosso dalla preghiera, venne in suo aiuto. Fecondò le grandi acque e generò Uanam Ehkona e Uanam Yaluna, Fratelli della Luce e Signori dell’Umanità. I gemelli presero dei grossi coltelli fatti di fulmini, spaccarono le montagne e con i loro grandi scudi di nuvole fecero irruzione nelle tenebre…

Secondo questo mito, la nascita dell’umanità è favorita da una categoria di esseri soprannaturali, i divini Fratelli figli del Sole, che hanno permesso alla nostra razza di conquistare la maturità emergendo dal ventre abissale della Madre Terra.


Oltre a presentare una simbolica «ginecologica», i miti della nascita dalle viscere della terra degli indigeni amerindi condividono l’immagine di esseri umani che germogliano allo stato larvale sottoterra, poi si aprono laboriosamente la strada verso la superficie e la luce del Sole, guidati dalle imprese di eroi leggendari.