A cura di don Ezio Del Favero

171 – Al chiaro delle stelle

Come vivere senza il cielo? Con il sole, la pioggia, l’aria, la luna e le stelle che indicano il cammino e fanno sognare?

Facebooktwitterredditpinterestlinkedinmail
Al chiaro delle stelle

Un tempo, la notte era buia e nera. Appena tramontava il sole, le persone e gli animali si rinchiudevano in casa o nelle loro tane e non uscivano più fino all’alba. Avevano paura e anche in estate non andavano fuori per prendere il fresco.

Una sera, un bambino che abitava in montagna rimase troppo tempo a giocare nel bosco e, quando decise di fare ritorno poco prima del tramonto, non riuscì più a ritrovare la strada di casa a causa del buio. Il piccolo impaurito si accovacciò ai piedi di un albero, iniziò a piangere e a chiamare i suoi cari. I grilli dai loro nascondigli si misero a cantare per fargli compagnia… cantavano sempre più forte sperando che il bambino si sentisse meno solo d avesse meno paura.

A quel tempo la luna e le stelle stavano nascoste dall’altra parte del cielo. Quando sentirono i grilli cantare, gli astri uscirono curioso per vedere che cosa stesse accadendo. Apparvero nel cielo buio e, con i loro raggi, per la prima volta rischiararono la notte nera.

Grazie al chiaro di luna, il bambino che si era perso riuscì a ritrovare la strada e in poco tempo arrivò a casa dove i suoi, in ansia, lo stavano aspettando.

Tutte le persone e gli animali, vedendo la luce della luna e delle stelle, uscirono dalle case e dalle tane e poi iniziarono a cantare e a ballare dalla gioia, e così per tutta la notte.

La luna e le stelle si divertirono così tanto sa vedere quella festa improvvisata che, d’allora, decisero di tornare tutte le notti…

Come vivere senza il cielo? Con il sole, la pioggia, l’aria, la luna e le stelle che indicano il cammino e fanno sognare? Presso alcuni popoli africani lo stesso termine serve a designare sia il cielo che Dio: “Nyamien” per i Baoulè della Costa d’Avorio. Ma anche per i nostri “vèci” il ciel era sinonimo dell’Altissimo…

 

Il castello e la capanna

C’era una volta un ricco signore che viveva in uno splendido castello, in cima a una montagna, circondato da alberi secolari, laghetti, cavalli bianchi che galoppavano sui prati, paesaggi paradisiaci che si distendevano tra il cielo e la terra. Ogni giorno, dopo la passeggiata mattutina, il signore tornava nelle sue stanze, dove lo aspettavano una tavola imbandita piena di piatti prelibati, archi che suonavano brani di musica classica, splendide cameriere, cuochi d’alto rango… Eppure era triste, perché niente e nessuno riusciva a riempire la sua solitudine.

Appena sotto la montagna, ai confini del bosco, in una capanna umida e buia, viveva un ciabattino che cantava tutto il giorno, anche durante il gelido freddo invernale. Il suo canto, acuto e fresco, arrivava fino all’orecchio del signore innervosendolo enormemente. “Come può un povero ciabattino, che abita in una misera baracca, essere felice e cantare senza sosta… ed io, pur essendo ricco, sentirmi infelice, desolato e vuoto?”.

Un giorno, durante una crisi di nervi, il signore si mise a urlare come un forsennato per coprire le note allegre del ciabattino. Tutto inutile! Pensò allora di ricorrere a un saggio, celebre e infallibile. Gli ordinò: «O tu mi cavi la tristezza, oppure la offri anche a lui!». Il saggio lo ascoltò e poi chiese di ritirarsi meditare sui possibili rimedi. Più tardi espose la soluzione: «Ho riflettuto a lungo, ho ascoltato dalle finestre il canto del ciabattino, ho seguito le sue mosse». Poi aggiunse: «Hai degli asini?». «Sì!» «Hai tre sacchi di monete d’oro?». Il signore masticò un “sì” stentato. Il saggio continuò: «Fai caricare sugli asini i tre sacchi d’oro, poi, durante la notte, falli deporre davanti alla cascina del ciabattino!». Così avvenne.

Appena fu consegnato l’ultimo sacco, il ciabattino si fece coraggio e andò a bussare alla porta del ricco signore, chiedendo di acquistare il castello. Il ricco si ritirò per consultarsi col saggio, poi propose al ciabattino: «Facciamo cambio: tu mi lasci la tua baracca e gli strumenti di lavoro, io ti lascio il castello e le monete d’oro. Così avvenne.

Oggi l’ex ricco signore sta cantando, a voce alta, anche nel gelido freddo invernale nel tugurio ammuffito ai confini del bosco. Mentre l’ex ciabattino, affacciato alla finestra del castello, mesto e silenzioso, si sente terribilmente solo.

La felicità non deriva a tutti i costi dalla ricchezza. Piuttosto, si lascia trovare nelle case e nelle situazioni essenziali e genuine. È più facile scoprirla nelle dimore e nei volti delle persone semplici, autentiche e spontanee, piuttosto che nei castelli di questo mondo…