Venerdì 4 ottobre a Belluno e Feltre

700 giovani bellunesi per la pace

Gli studenti delle superiori per la prima Giornata della pace, fraternità, dialogo

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Il 4 ottobre è una data significativa non solo per la comunità cristiana, ma anche per la società civile. Francesco d’Assisi è infatti patrono d’Italia e la città del santo amico dei poveri e della pace riunisce in questa data migliaia di persone per la cerimonia annuale del dono dell’olio, da parte di una Regione della nostra penisola, per la lampada votiva che arde accanto alla sua tomba-monumento. Quest’anno è toccato alla Sicilia. Mentre si celebrava nel cuore dell’Umbria questo evento, quasi 700 ragazzi della nostra provincia si incontravano per vivere insieme la prima Giornata della pace, della fraternità e del dialogo.

La proposta è maturata e realizzata insieme dall’Ufficio della Pastorale scolastica e da quello per l’Ecumenismo e il dialogo interreligioso, Scuole in Rete per un mondo di solidarietà e pace, Ufficio scolastico territoriale, Comitato “Belluno comunità che educa”.

Prendendo spunto da una legge del 2005 che riconosce la data del 4 ottobre quale «solennità civile e giornata della pace, della fraternità e del dialogo tra appartenenti a culture e religioni diverse», sono state invitate due classi per ogni Scuola Secondaria di II grado, quasi 700 adolescenti che, al teatro Giovanni XXII di Belluno e all’Auditorium dell’Istituto Canossiano a Feltre, sono stati coinvolti attraverso modalità diverse, a confrontarsi su temi di grande valore esistenziale.

Pace è cambiare sguardo: «La pace si costruisce anche nei piccoli gesti quotidiani cambiando il modo di guardare l’altro, il diverso, che a volte ci mostra quel punto di vista che ancora noi non avevamo ascoltato e compreso». Queste le parole di saluto del vescovo Renato che, insieme al Prefetto Roccoberton, ha aperto la mattinata a Belluno in collegamento online con Feltre. Ha fatto eco al vescovo con un messaggio successivo l’imam Zakariae: «Insieme possiamo costruire un mondo dove la pace non sia solo un sogno lontano, ma una realtà concreta per tutti».

 

FELTRE
Un laboratorio con arte e musica per cercare armonia e portare il messaggio della fratellanza universale.
Presentata la staffetta della pace.

La trama musicale e simbolica della “Nona” di Beethoven suggerita dalla professoressa Valeria Sansone e gli spunti della professoressa Lara Cossalter riguardanti la vita e alcune tele dell’artista ebreo viandante Marc Chagall, simbolo egli stesso dell’annullamento dei confini tra Oriente e Occidente, hanno offerto agli studenti feltrini un messaggio potente attraverso il linguaggio artistico. Il dialogo immaginario tra il direttore della “East Western Divan Orchestra” Daniel Barenboim e l’artista Chagall diventa fecondo e genera un «accordo pacifico culminando nell’Inno alla Gioia». Sottolineata, attraverso questi artisti, l’importanza della vicinanza umana per trasmettere il messaggio che «tutti i popoli sono fratelli».

Una “piccola performance artistica” ha coinvolto poi ogni partecipante  nel disegnare frammenti, con l’intento di comporre un unico grande quadro.

Ricca anche di momenti di riflessione, la mattinata ha accolto le parole di Emiliano Oddone che, con Roberto Scoccia di Lions Host, ha illustrato un interessante progetto: la staffetta della pace, partita dalle Tre Cime di Lavaredo per arrivare a piedi a Roma, dove i camminatori verranno ricevuti da papa Francesco  e dal presidente Sergio Mattarella.

Ha lasciato il segno il racconto di vita di Ezgi Akyar, insegnante nata da famiglia turca di origine curda, con alle spalle esperienza di emarginazione, cresciuta in Germania, vissuta per lavoro negli Stati Uniti e in America Latina. Ora legata alla città di Feltre, Ezgi ha invitato i giovani ad avvicinarsi alle persone e alle diverse culture senza pregiudizi. «C’è del buono nel mettere insieme… ho trovato sempre nuove opportunità», ha affermato la docente nella sua toccante testimonianza.

La sindaca di Feltre Viviana Fusaro ha consegnato ai rappresentanti delle classi una pianta di ulivo, altamente simbolica, perché nell’ambiente scolastico possano coltivarla, così come si coltivano relazioni significative e pacifiche. Il preside dell’Istituto Canossiano Stefano Serafin ha quindi donato la bandiera della pace, proveniente dai giovani del Sermig – arsenale della pace di Torino – che quest’anno viene affidata all’Istituto Enaip. L’anno prossimo la bandiera stessa, arricchita delle esperienze degli studenti di quella scuola, dovrà passare ad altre scuole, durante analoghi incontri per continuare a far riflettere sulla necessità del dialogo e della solidarietà tra popoli, soprattutto in questo tempo che sembra aver assunto il volto minaccioso della guerra come risoluzione dei conflitti.

 

BELLUNO
Il messaggio nella nuvola – tag: amore, rispetto, speranza. Essere “ponte”

Proprio un bel colpo d’occhio quei quattordici ragazzi sul palco del teatro Giovanni XXIII, in rappresentanza delle loro classi, che al termine dell’incontro hanno ricevuto la piantina di ulivo con il mandato di coltivare la pace, la fraternità, il dialogo nel loro ambiente di studio e là dove vivono ogni giorno e intrecciano relazioni.

Alessandra Catania, direttrice dell’Ufficio diocesano per gli insegnanti di religione, e Francesca Curti, docente al Catullo e referente di “Belluno comunità che educa”, hanno evidenziato l’assunzione dell’impegno a far memoria dell’esperienza vissuta insieme, consegnando anche la bandiera della pace (con la scritta centrale attorniata dalle bandiere di tutti i Paesi del mondo) agli studenti dei Licei Renier, con lo scopo di  «farla fruttare» durante questo prossimo anno.

Presenti all’evento la dirigente dell’Istituto Catullo Violetta Anesin, per il Comune di Belluno Simonetta Buttignon, il Questore Francesco Zerilli, che ha presentato l’amico Gianpaolo Trevisi autore di diversi libri e relatore all’incontro. Anna Della Lucia, responsabile ODAR e voce di diverse realtà associative di volontariato ha coordinato gli interventi e rilanciato i temi, le domande, le parole che dal palco hanno “centrato” i cuori e le intelligenze delle persone in platea.

La nuvola digitale proiettata in grande negli ultimi minuti della mattinata, ha riportato le parole scelte e colorate dagli studenti per una sintesi da “portare a casa”. Ne sono state rilanciate in particolare alcune: dialogo, amore, rispetto, speranza, solidarietà, ponte, confronto, serenità, pace.

Quasi un percorso a tappe: dall’apertura al dialogo con il diverso si può costruire la pace, che prevede rispetto e solidarietà. Un percorso per il quale nasce la gratitudine verso gli insegnanti e gli educatori che lo sostengono e lo sollecitano. Un vivo grazie è stato rivolto proprio ai docenti che hanno accompagnato le classi all’incontro di venerdì e agli organizzatori, che anche dietro le quinte, hanno lavorato per la riuscita dell’iniziativa.

 

Musica, testimonianze di dialogo e volontariato: la pace è concreta

La voce e la chitarra di Valentina De March, giovane cantautrice bellunese, hanno accompagnato i presenti dentro il sogno di un mondo diverso con le note canzoni Imagine (J. Lennon) e Girotondo (F. De Andrè). Rimane aperta come sfida e compito la domanda finale di Faber:

«La guerra è dappertutto, Marcondiro’ndera, la terra è tutta un lutto, chi la consolerà?».

Sonia Andrich, fresca di una bella esperienza di volontariato in Bolivia e membro del presidio di LIBERA agordino (intitolato alla coppia Lucia Precenzano e Salvatore Aversa), ha riassunto in quattro importanti parole il cammino dell’associazione che si batte contro le mafie: memoria, una  forza che fa agire; formazione, per “fare la differenza”, essere curiosi e uniti nella solidarietà, coltivare la bellezza;  nelle grandi e  nelle piccole cose;  informazione e sensibilizzazione attraverso spettacoli, presentazione di libri, ecc; dibattito: è decisivo per comunicare e fare delle scelte, cambiando anche stile di vita. Una lunga e impronunciabile parola boliviana è stata consegnata al pubblico da Sonia, che tradotta recita così: “È necessario che comunichiamo gli uni con gli altri”.

Arséne Obitè della Costa d’Avorio e Meriem Benaly di origine marocchina hanno portato una testimonianza sulla fraternità che può nascere dal dialogo autentico e dall’incontro fra culture e fedi  diverse. “La violenza non ha religione” ha esordito Meriem, è decisivo non fomentare pregiudizi, a partire dalla scuola primaria. L’invito della giovane mamma musulmana è di cogliere la concretezza che il cammino di pace esige e di aiutare tutti a superare la superficialità e i luoghi comuni. Arséne non ha nascosto la sua paura del diverso e al tempo stesso l’esperienza della cura delle ferite provocate dalla guerra grazie alla condivisione della sofferenza. Il dialogo ha permesso proprio di superare il blocco causato dalla paura. Ai ragazzi ha augurato di essere “creatori di ponti”.

 

Siate strabici e analfabeti, ragazzi! Il vice-questore si racconta 

Gianpaolo Trevisi, poliziotto e scrittore

Gianpaolo Trevisi, classe 1969, direttore della Scuola Allievi Agenti della Polizia di Stato di Peschiera del Garda, ha al suo attivo una lunga esperienza presso la questura di Verona in diversi uffici tra cui, in particolare, l’Ufficio Immigrazione e la Squadra mobile. Si vede che è abituato a parlare in pubblico e la platea ascolta in silenzio e con molto interesse le sue narrazioni, che prendono spunto iniziale dai racconti e libri che ha scritto, incoraggiato dal premio letterario ottenuto con “L’Africa nel cassonetto”. Le vicende che Trevisi narra, illustrate da diapositive che incuriosiscono e interrogano, prendono le mosse da storie vere di migranti, da luoghi reali e giornate vissute intensamente, nelle quali il poliziotto che pulsa di umanità si sente sempre più “pungolato “a capire le ragioni delle persone che ha davanti e che hanno incrociato la sua vita. Aspetti onirici, immagini poetiche e domande stringenti si intrecciano: qual è il bene da compiere? Qual è il bene per coloro che fuggono da violenze, privazioni, guerre, carestie, impossibilità di futuro?

Trevisi ammette: il finale delle storie vere che racconto sono spesso surreali, ma hanno un risvolto di speranza, talvolta un tocco di magia. La verità è che sempre nell’incontro con l’altro, con il diverso per cultura, per situazione di vita, per appartenenza sociale, cerco di capire chi sono io. La chiave è l’empatia, il calarsi nella situazione dell’altro, andare “oltre” la legge e i confini della propria professione.

C’è molto del papà, dell’amico sincero, del vicino che non volta le spalle, del poliziotto che crede il suo lavoro sia una vera e propria vocazione. Le riflessioni e le domande che nascono dall’ascolto del vice-questore scrittore toccano in profondità la dimensione dell’umanità che non si lascia scoraggiare e aiuta a fare i confronti giusti con la nostra storia collettiva, quando i migranti oggetto di pregiudizi e rifiuto eravamo noi, definiti “selvatici e puzzolenti” nelle terre raggiunte oltreoceano, ma anche nelle migrazioni interne da Napoli o dalla Sicilia verso il Nord industrializzato.

Invitando tutti a saper guardare la volta del cielo e a non essere concentrati eternamente sul cellulate … Trevisi ha invitato ad essere “strabici”, come diceva ai suoi colleghi in Questura, capaci di vedere al di là dello sportello, oltre il fascicolo dei documenti, incrociando gli occhi dell’altro.

I sogni veri vanno annaffiati e questo è possibile se ogni mattina sappiamo di essere chiamati a “dare di più e meglio”. Sentirsi analfabeti in fondo ci garantisce l’apertura della mente e del cuore per superare i confini che sono innanzitutto dentro di noi. Sentirsi “fiocco di neve” che da solo si scioglie in un istante, ma unito a tanti altri  forma la coltre di neve duratura.