Storia del Giubileo - 23

«Alla città eterna»

Cinque feltrini desideravano «recarsi alla città eterna e di visitare le tombe degli apostoli Pietro e Paolo»

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La volta scorsa abbiamo visto come il vicario generale di Feltre, sulla base delle concessioni papali, nell’anno santo del 1650 diede disposizioni dettagliate per la partecipazione al giubileo da parte delle oltre 130 monache di clausura che vivevano in città ed erano impossibilitate a muoversi. Vien da chiedersi se tra i circa 60.000 abitanti della diocesi, ci fu qualcuno che si mise in cammino per Roma.

Ci restano labili tracce dovute al fatto che alcuni fedeli, tutti uomini, si rivolsero alla curia per avere una lettera di presentazione per poter esser accolti negli ospizi per pellegrini. All’inizio di febbraio, Antonio Camolio e Vittore Ceccon parrocchiani di Lamon presentavano al vicario l’attestazione del loro pievano di essere confessati e comunicati e di essere persone di retta condotta morale e di avere il proposito di recarsi pellegrini al santuario di Loreto e «forse a Roma»; quindi il vicario rilasciò loro un documento con cui raccomandava di praticare verso di essi la buona accoglienza che si usa con i pellegrini.

Nel mese di novembre è tal Giovanni d’Incau abitante di Zorzoi nella pieve di Servo che ottiene la commendatizia della curia per raggiungere la stessa meta: il santuario di Loreto e «forse Roma».

Non sappiamo se questi tre pellegrini dopo Loreto si sono diretti anche a Roma; un dato però è evidente: il santuario mariano aveva su di loro una attrattiva maggiore che non il giubileo.

Invece un gruppo di cinque abitanti di Feltre manifestò al vicario generale di essersi accordati e di aver deliberato di «recarsi alla città eterna e di visitare le tombe degli apostoli Pietro e Paolo, per le pratiche devozionali di questo anno santo». Era il 19 marzo quando questi cinque «cittadini di Feltre» ottengono la commendatizia del vicario; essi erano: Stefano Norcen, Felice Tamboso, Giovanni Maria Junio, Andrea Bettega e Vittore de Monico. Una piccola comitiva di fedeli che si misero in strada insieme, attratti dalla prospettiva di vivere il giubileo.

Avrebbe invece affrontato il pellegrinaggio da solo Giovanni Battista Stona, originario di Foza sull’altopiano di Asiago, un terziario francescano che viveva da eremita presso la chiesa di San Biagio nella parrocchia di Levico; chiesetta campestre che da qualche tempo era divenuta un romitorio, che accoglieva non più di un anacoreta. Era l’inizio di febbraio quando questo eremita ottenne la commendatizia del vicario generale, che lo segnalava come persona degna di fiducia e raccomandava che venisse sostenuto con le elemosine al fine di raggiungere la città eterna.

Se nell’anno santo del 1600, lo abbiamo visto, furono cinque i preti diocesani che si misero in cammino per Roma, nell’anno 1650 ci fu solo un prete della diocesi feltrina, che decise di partire in pellegrinaggio. Che non ve ne siano stati altri lo possiamo dar per certo, dal momento che un prete per assentarsi dalla diocesi aveva bisogno di ottenere il benestare dell’ordinario diocesano, il cosiddetto discessit.

Questo sacerdote era Bartolomeo Argenta, parroco di Villabruna. Il 1° aprile chiese al vicario che gli concedesse la licenza di recarsi a Roma per il giubileo e fosse data facoltà ai parroci suoi vicini di Cesio, Arson, Vignui e Pedavena, di sostituirlo nelle celebrazioni liturgiche per tutto il tempo della sua assenza. È più che probabile che prima di suggerire al vicario come provvedere alla parrocchia durante la sua assenza, avesse prima contattato quei quattro confratelli.

Bartolomeo Argenta era nativo di san Gregorio ed era stato ordinato prete per la diocesi di Belluno, ma fin da subito entrò in servizio come cappellano nella pieve di Cesio, così vicina al suo paese natale. Nel 1637 venne nominato parroco di Villabruna con provvista pontificia di Urbano VIII, che aveva ammesso la rinuncia in suo favore da parte del titolare Filippo Laderchia, settantaquattrenne semiparalizzato. Villabruna fu per prè Bartolomeo la prima ed unica parrocchia, visto che morì in carica il 5 giugno 1666, dopo trenta anni di governo pastorale.

L’eremita si mette in cammino all’inizio di febbraio, il gruppo dei cinque abitanti di Feltre a metà marzo, il parroco di Villabruna chiede il permesso il primo giorno di aprile; queste partenze primaverili richiamano senz’altro alla mente le indimenticabili righe con cui Chaucer (1343-1400) dà l’avvio ai suoi Racconti di Canterbury: «Quando Zefiro col dolce fiato ha sparpagliato in ogni bosco e prato germogli morbidi […] la gente ha voglia di andarsene in giro da pellegrini in plaghe sconosciute».

don Claudio Centa
Continua – 23