Pagine di storia della Chiesa

Così nascono i seminari

Al Concilio di Trento i più riottosi alla novità furono gli italiani. Bella iniziativa, ma chi paga?

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Nelle due precedenti puntate, dedicate alla storia dei seminari, abbiamo appreso come avveniva la formazione dei sacerdoti prima delle decisioni del concilio di Trento; e quindi ci siam soffermati sulla preistoria dei provvedimenti conciliari. I vescovi riuniti a Trento, nel formulare le loro decisioni sulla formazione del clero, guardarono a due esperienze precedenti: quei collegi che alcuni vescovi volenterosi avevano creato per la formazione degli aspiranti al sacerdozio e quanto stabilito dal Sinodo di riforma della Chiesa inglese nel 1555.

Il concilio di Trento deliberò sul percorso formativo al sacerdozio nel decreto di riforma promulgato il 15 luglio 1563. Il decreto era dedicato interamente alla vita del clero e il diciottesimo e ultimo canone, il più lungo, era riservato all’istituzione dei seminari in ogni diocesi. La prima cosa infatti che il Concilio promulgava in termini particolarmente stringenti era l’obbligo per ogni diocesi di dar vita al seminario. Era ingiunto che le diocesi, singolarmente o associandosi in caso di difficoltà, «siano tenute a nutrire, educare religiosamente e istruire nelle discipline ecclesiastiche un certo numero di fanciulli della stessa città o diocesi […] in un collegio che il vescovo sceglierà a questo scopo presso la stessa chiesa cattedrale o in un altro luogo conveniente».

Questi i requisiti dei ragazzi per poter essere accolti in tale collegio: avere un’età di almeno dodici anni, saper già leggere e scrivere, essere nati da legittimo matrimonio, mostrare inclinazione per la vita ecclesiastica e il ministero pastorale. Nell’accoglienza, che doveva necessariamente misurarsi con i posti disponibili, dovevano essere favoriti i figli di famiglie povere, senza che questo comportasse l’esclusione dei figli dei ricchi. Il mantenimento di quest’ultimi però sarebbe stato non a carico della diocesi, ma della famiglia. Il concilio di Trento stabiliva tassativamente per ogni diocesi di munirsi del seminario, ma non dettava come obbligo l’entrare in esso per diventare prete, dal momento che l’accoglienza poteva essere garantita nella misura dei posti disponibili.

I ragazzi sarebbero stati suddivisi in classi a seconda dell’età e dei progressi che facevano nella scienza e nella disciplina. In tal modo, a quelli che man mano uscivano venendo ordinati preti sarebbero subentrati altri più giovani «così che questo collegio sia come un perpetuo vivaio di ministri di Dio» (ita ut hoc collegium Dei ministrorum perpetuum seminarium sit). Ecco perché questo genere di collegio prese il nome di seminario, dal paragone che il Concilio instaurava tra tale istituto e il vivaio, ambiente protetto, in cui si crescono le piantine, che poi dovranno essere capaci di vivere in ambiente aperto.

Quanto alle discipline, esse dovevano formare un ecclesiastico in grado di celebrare la liturgia, di predicare il vangelo, di confessare i fedeli: «apprenderanno la grammatica, il canto, il computo ecclesiastico, studieranno la Sacra Scrittura, le opere di scienza ecclesiastica, le omelie dei santi, tutto ciò che sembrerà opportuno per amministrare i sacramenti ed ascoltare le confessioni, le regole concernenti i riti e le cerimonie». In termini odierni: latino, Sacra Scrittura, teologia dogmatica, teologia morale, liturgia, letteratura cristiana antica.

Circa la disciplina di vita, fin dal loro ingresso in seminario i ragazzi dovevano ricevere e mantenere la tonsura e indossare l’abito ecclesiastico. Ogni giorno dovevano partecipare alla Messa, confessarsi almeno una volta al mese e comunicarsi quando il confessore lo indicava loro. Tutte le domeniche i seminaristi avrebbero partecipato all’ufficiatura e alla Messa della cattedrale, prestando servizio liturgico.

Il vescovo doveva esser affiancato da due commissioni. Quella disciplinare: essa doveva constare di due canonici, scelti dal vescovo stesso «tra i più anziani e seri», che avrebbero visitato frequentemente il Seminario, sarebbero intervenuti a correggere i casi di indisciplina, sino ad espellere gli incorreggibili.

L’altra riguardava l’amministrazione. A Trento infatti i vescovi più riottosi a questa novità furono, non serve dirlo, gli italiani. La difficoltà è sempre la stessa: bella iniziativa, ma chi paga? con cosa la si finanzia? L’eterno problema dello sterco del diavolo che serve a concimare la vigna del Signore. Il concilio stabilì che ogni beneficiato (vescovi, canonici, parroci, beneficiati semplici) doveva versare una percentuale dei propri redditi per creare e mantenere il seminario. Il vescovo nello stabilire questa tassazione e organizzarne la riscossione doveva essere assistito da quattro preti così scelti: due canonici, uno scelto dal vescovo e l’altro dal Capitolo, e due preti della città, uno scelto dal vescovo e l’altro eletto dal clero diocesano.

Ahinoi, sia in diocesi di Belluno che in quella di Feltre furono dolori a smuovere non pochi preti a contribuire alla realizzazione della nuova importante istituzione. Ma di ciò, nel prossimo numero.

 

don Claudio Centa


Anonimo veneto, Il Concilio di Trento (XXIII sessione, 15 luglio 1563, nella navata centrale della cattedrale di San Vigilio di Trento), seconda metà del XVI sec., Parigi, Museo del Louvre.