«Christos anesti!», «Alethos anesti!»: si salutano così, in questo giorno santo, i fratelli dell’Oriente cristiano. «Cristo è risorto!», «Sì, davvero è risorto!»: questo annuncio è il cuore pulsante, il nucleo centrale, il fondamento della nostra fede cristiana. Questo annuncio riassume tutte le verità di fede, rivela il segreto della nostra speranza, racchiude il motivo profondo della nostra carità.
Dell’evento della Risurrezione, però, noi non sappiamo nulla: né il Vangelo di Giovanni che abbiamo ascoltato poco fa, né l’evangelista Luca che ci ha accompagnato nella celebrazione della Veglia Pasquale, e neppure Marco e Matteo raccontano che cosa è successo. Sulla scia delle – pochissime, per la verità – raffigurazioni pittoriche della Risurrezione, potremmo pensare ad un’esplosione di luce, ad un prodigio straordinario, ad un fatto spettacolare, allontanandoci però dalla riservata discrezione dei Vangeli, che insistono sui dettagli che le donne e gli Apostoli – insieme, come gli strumenti di una sinfonia che si compone piano piano dalla testimonianza e dallo sguardo di ciascuno – scoprono.
Dettagli che ci parlano di un evento che richiede tempo per essere scoperto, per essere distillato, per essere compreso: dettagli che raccontano la cura del Risorto, la Sua discrezione, il Suo garbo e il Suo rispetto per la nostra umanità. Dettagli, come una pietra rotolata nel silenzio della notte – e non spaccata per affermare la propria forza e il proprio trionfo –, come il sudario e i teli – ripiegati con cura e non in disordine per la fretta di gridare la vittoria.
La Pasqua – sembra dirci il Risorto, con queste attenzioni umili, quotidiane, semplici – richiede tempo, è una verità discreta, che non si impone ma bussa dolcemente alla nostra porta: in fondo, se ci pensiamo, le cose davvero importanti nella nostra vita – l’amore, le relazioni, un lutto da elaborare, ciò che impariamo, la nostra crescita, la nostra identità – funzionano proprio così. Non sono un’esplosione, un fuoco d’artificio, un evento spettacolare, ma si costruiscono giorno dopo giorno, nel silenzio, nella fedeltà, nella costanza gioiosa e faticosa.
Riceviamo, nel Mistero Pasquale in cui siamo stati immersi con il Battesimo, l’eredità della vita, della vita piena, della vita per sempre, della vita che, quando fiorisce davvero, procede a piccoli passi, lentamente.
Come un poco di lievito – ricorda l’apostolo Paolo, scrivendo alla comunità di Corinto, in una delle letture proposte per questa Eucaristia –, che con il suo lavoro silenzioso, quasi invisibile, fa fermentare tutta la pasta. La Chiesa, nella sua saggezza bimillenaria, prevede un tempo lungo per entrare nel mistero che celebriamo oggi: e l’effusione dello Spirito, che riceveremo nella domenica di Pentecoste, ci rimanderà alla ricerca dei piccoli germogli pasquali che ritroviamo nell’ordinarietà del tempo che scorre.
Oggi, per noi, solamente inizia la gioia: ha palpitato il nostro cuore, preoccupato perché «hanno portato via il Signore» – come la Maddalena –, consolato e pieno di speranza – come quello di Giovanni, il discepolo amato, che «vide e credette» –, un poco affannato dai nostri pesi e dai nostri tradimenti – come quello di Simon Pietro, che arriva dopo e non comprende. Ma non possiamo rinchiudere la Risurrezione in queste ore, in questo giorno, in quello che noi abbiamo imparato, capito, sperimentato: c’è una promessa che matura lentamente e che ci coinvolge, nella profondità più intima di noi stessi, nella nostra corporeità, nel nostro essere Chiesa, comunità riunita dallo stupore, dalla gratitudine, dalla gioia di un annuncio da ascoltare, da accogliere, da vivere insieme ogni giorno, nei dettagli della nostra vita, nei dettagli della vita delle nostre comunità, nei dettagli della vita del mondo. «Cristo è risorto!». «Davvero, è risorto!».