Quelli che da piccoli ci sembrano dei “no” o dei “sì” immotivati, a cui dobbiamo obbedire semplicemente perché ci vengono detti dalla mamma o dal papà o dagli insegnanti o dagli educatori, con il passare del tempo guadagnano una loro ragionevolezza, un loro “perché”. Capiamo a distanza di anni, anche di decenni, che cosa sta alla base di un “no” o di un “sì”, che cosa motiva un’abitudine da acquisire o da rigettare, che cosa giustifica un comportamento e non il suo contrario.
Siamo ancora nell’Ultima Cena: tra poche ore, i discepoli dubiteranno, dimenticheranno, si lasceranno sopraffare dagli eventi. Li ritroviamo – tre giorni – dopo, stanchi e sfiduciati, mentre fuggono da Gerusalemme verso Emmaus, mentre riprendono le loro attività, mentre si rinchiudono nel Cenacolo per non affrontare la durezza cruda della realtà. Eppure, Gesù li ha lasciati con una promessa: «Il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto».
L’arrivo dello Spirito Santo – effuso a Pentecoste – è preparato, prefigurato, annunciato. Le parole di Gesù, il dono della Sua vita, il Suo amore non sono una stanza chiusa, un libro terminato, una storia conclusa. Lo Spirito Santo ci guida, ci aiuta a scavare, ad approfondire, a cercare vie e percorsi nuovi. Gesù lo definisce Paraclito. Il termine – utilizzato in campo giudiziario per designare l’avvocato che affiancava l’imputato e lo aiutava nella difesa – tratteggia lo Spirito Santo come il grande suggeritore, l’ispiratore, il soffio sottile e penetrante che anima la vita della Chiesa e che fa respirare la nostra esistenza.
Se guardiamo alle vicende talora intricate di duemila anni di Cristianesimo, con stupore constatiamo che davvero il Vangelo è una sorgente di vita sempre fresca, sempre attuale, sempre capace di aprire nuove strade, di donare nuovi sguardi, di suscitare nuovi gesti di cura. Siamo sempre in quel processo di vita, di crescita, di scoperta e riscoperta che papa Giovanni XXIII indicava: «Non è il Vangelo che cambia, siamo noi che cominciamo a comprenderlo meglio», forse pensando a San Gregorio Magno, che suggeriva che la Scrittura cresce con colui che la legge nella fede.
La grandiosa pagina dell’Apocalisse che ci accompagna oggi non ci invita solo a guardare alla Gerusalemme celeste, alla fine della storia, al momento in cui Dio sarà «tutto in tutti» (1Cor 15,28): rinnova in noi la consapevolezza che lasciarsi illuminare dall’Agnello, sotto la guida dolce e delicata dello Spirito Santo, ci è quanto mai necessario anche oggi. Ci invita a ritornare al Vangelo, alla sua semplicità, alla sua perenne novità: a cercare nella Pasqua di Gesù la soluzione alle contraddizioni, alle fatiche, alle speranze del nostro tempo. Ci chiede di osare, di ascoltare il fruscio leggero dello Spirito, debole di fronte alle rumorose e imperiose voci del mondo, capace di suscitare la forza della vita in tutta la sua travolgente potenza e bellezza.
Il Vangelo non è esaurito: contiene un inedito, un inespresso, una potenzialità da liberare, non come aggiunta ma come promessa, non come integrazione ma come possibilità. Non siamo adoratori di cenere, ma custodi del fuoco, come suggeriva il compositore austriaco Gustav Mahler: la nostra pace sta nell’essere e nel sentirci accompagnati, guidati, sorretti, continuamente ispirati, sempre vivificati dallo Spirito Santo di Dio.
Non è la pace uniformatrice del mondo, che appiattisce e omologa: è la pace di Cristo, che sfida la paura, smonta la sfiducia, dona la vita, sempre meglio, sempre di più. Fino alla pienezza.