Abbiamo dunque un Leone alla guida del gregge di Gesù Cristo; questo accade per la quattordicesima volta. Non è privo di interesse rievocare i pontefici più significativi che portarono questo nome.
Il primo di essi fu anche il primo dei soli due papi che ricevettero l’appellativo di “Magno”, grande. Leone Magno (440-461) fu effettivamente un grande pastore sia per la chiarezza del suo magistero, che per l’azione del suo governo. Quanto al primo mi limito a ricordare la celebre “Lettera (Tomus) a Flaviano”, patriarca di Costantinopoli. Reagendo a errori dottrinari di segno opposto, Leone affermava con chiarezza la fede in Cristo pienamente uomo e vero Dio ad un tempo. Inoltre mise il risalto il ruolo speciale di Pietro quale primo degli apostoli, la cui funzione permane nel vescovo di Roma, successore di Pietro: «quando noi facciamo udire le nostre esortazioni, credetelo che è lui stesso [san Pietro], di cui noi ricopriamo le funzioni, che vi parla». Guidò la Chiesa di Roma in un momento drammatico, quando i popoli germanici migrando in Europa, si eran divise le spoglie della parte occidentale dell’impero. Nel 452 Attila e i suoi Unni, dopo aver devastato il nord da Aquileia a Bergamo, intendevano dirigersi su Roma. Richiesto dall’imperatore Valentiniano III di negoziare, Papa Leone incontrò Attila sulle sponde del Mincio e lo convinse ad abbandonare l’Italia. Quando tre anni dopo Roma fu sottoposta al sacco dei Vandali, ottenne da re Genserico che la città non fosse data alle fiamme e che la sua popolazione non venisse massacrata.
Leone III (795-816) non aveva certo la forza d’animo, né l’acume del suo predecessore, Adriano I. I gravi attacchi che subì da una parte dell’aristocrazia e del clero di Roma, gli fecero trovar rifugio sotto l’ala protettrice di Carlo Magno, che da lui fu coronato imperatore in San Pietro la mattina del giorno di Natale dell’800.
Bisogna arrivare a Leone IX (1048-1054) per trovare un altro papa notevole con questo nome. Brunone, vescovo di Toul, fu il terzo papa designato dall’imperatore Enrico III. Come i suoi due predecessori, Leone IX proveniva dagli ambienti delle vivaci riforme monastiche e fu protagonista di primo piano della riforma papale che raggiunse il suo apice in Gregorio VII (1073-1085). Viaggiò molto attraverso l’Europa, promuovendo la celebrazione di sinodi; egli ne presiedette ben undici, che avevano come scopo principale la riforma del clero (lotta al concubinato e alla simonia). Se da un lato si trovava in piena sintonia coll’imperatore di Costantinopoli per la comune preoccupazione verso l’arrivo dei Normanni nel meridione d’Italia, dall’altro considerava inammissibili molti aspetti della Chiesa bizantina, in base al principio caro a questi riformatori alla guida del papato: «i sacri canoni designano come eretici coloro che non sono d’accordo con la Chiesa Romana» (san Pier Damiani).
Leone X arrivò dopo quasi mezzo millennio (1513-1521). Si chiamava Giovanni, rampollo della famiglia Medici, era figlio di Lorenzo il Magnifico. Ebbe una raffinata formazione culturale, alla quale concorse anche, ce lo ha ricordato Marco Perale nel numero precedente, il bellunese Urbano Bolzanio, francescano conventuale. Promosse le arti e la cultura, fu senza dubbio moralmente irreprensibile. Ma si era in un momento in cui esser corretti non bastava, bisognava avere una viva preoccupazione per le questioni ecclesiastiche, cosa che gli mancò. Sotto di lui scoppiò la rivolta di Lutero e per lungo tratto non ne comprese la gravità, anzi, mosso da considerazioni politiche circa l’elezione del nuovo imperatore (1519), fece sospendere per un certo tempo l’indagine a carico dell’agostiniano tedesco.
Infine l’altro grande pontefice di questo nome fu Leone XIII (1878-1903). Al conclave seguito alla morte del più lungo dei pontificati, quello di Pio IX, durato 32 anni, venne eletto Gioacchino Pecci. Era di 68 anni, età avanzata per l’epoca, gracile di salute; insomma tutto faceva prevedere un breve papato di transizione: durò invece 25 anni. Alla sua morte solo uno dei 64 cardinali viventi non era stato creato da lui, ma dal suo predecessore. Era stato sia diplomatico, che pastore. Nella prima veste nunzio apostolico in Belgio, nel secondo ruolo fu per 31 anni arcivescovo di Perugia. A lui si deve la prima enciclica concernente le questioni sociali: la Rerum novarum del 1891. Essa segnava a un tempo sia l’approdo di oltre mezzo secolo di studi e discussioni in campo cattolico circa i problemi della società industrializzata, sia l’avvio di una tradizione di magistero pontificio, che conobbe una notevole evoluzione sulle questioni sociali.
don Claudio Centa
Nell’immagine: Alessandro Algardi, Incontro di Attila e Leone Magno, c. 1650, Città del Vaticano, Basilica di San Pietro