A cura di don Giorgio Aresi (5ª domenica di Pasqua - anno C)

Dio mi ama, allora ci provo anch’io

Riscoprire il senso della parola “Dio”

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Ritorna alla mente una battuta di Woody Allen, originariamente appartenente al drammaturgo Eugène Ionesco: «Dio è morto, Marx pure, e anche io non mi sento molto bene». Sono parole che ci fanno ricordare le parole dure di Nietzsche che annunciano la “morte di Dio”:

«Avete sentito di quel folle uomo che accese una lanterna alla chiara luce del mattino, corse al mercato e si mise a gridare incessantemente: “Cerco Dio! Cerco Dio!”. E poiché proprio là si trovavano raccolti molti di quelli che non credevano in Dio, suscitò grandi risa. “È forse perduto?” disse uno. “Si è perduto come un bambino?” fece un altro. “Oppure sta ben nascosto? Ha paura di noi? Si è imbarcato? È emigrato?” – gridavano e ridevano in una gran confusione. Il folle uomo balzò in mezzo a loro e li trapassò con i suoi sguardi: “Dove se n’è andato Dio? – gridò – ve lo voglio dire! Siamo stati noi ad ucciderlo: voi e io! Siamo noi tutti i suoi assassini! Ma come abbiamo fatto questo? Come potemmo vuotare il mare bevendolo fino all’ultima goccia? Chi ci dètte la spugna per strusciar via l’intero orizzonte? Che mai facemmo, a sciogliere questa terra dalla catena del suo sole? Dov’è che si muove ora? Dov’è che ci moviamo noi? Via da tutti i soli? Non è il nostro un eterno precipitare? E all’indietro, di fianco, in avanti, da tutti i lati? Esiste ancora un alto e un basso? Non stiamo forse vagando come attraverso un infinito nulla? Non alita su di noi lo spazio vuoto? Non si è fatto piú freddo? Non seguita a venire notte, sempre piú notte? Non dobbiamo accendere lanterne la mattina? Dello strepito che fanno i becchini mentre seppelliscono Dio, non udiamo dunque nulla? Non fiutiamo ancora il lezzo della divina putrefazione? Anche gli dèi si decompongono! Dio è morto! Dio resta morto! E noi lo abbiamo ucciso! Come ci consoleremo noi, gli assassini di tutti gli assassini? Quanto di piú sacro e di piú possente il mondo possedeva fino ad oggi, si è dissanguato sotto i nostri coltelli; chi detergerà da noi questo sangue? Con quale acqua potremmo noi lavarci? Quali riti espiatòri, quali giochi sacri dovremo noi inventare? Non è troppo grande, per noi, la grandezza di questa azione? Non dobbiamo noi stessi diventare dèi, per apparire almeno degni di essa? Non ci fu mai un’azione piú grande: tutti coloro che verranno dopo di noi apparterranno, in virtú di questa azione, ad una storia piú alta di quanto mai siano state tutte le storie fino ad oggi!”. A questo punto il folle uomo tacque, e rivolse di nuovo lo sguardo sui suoi ascoltatori: anch’essi tacevano e lo guardavano stupiti. Finalmente gettò a terra la sua lanterna che andò in frantumi e si spense. “Vengo troppo presto – proseguí – non è ancora il mio tempo. Questo enorme avvenimento è ancora per strada e sta facendo il suo cammino: non è ancora arrivato fino alle orecchie degli uomini. Fulmine e tuono vogliono tempo, il lume delle costellazioni vuole tempo, le azioni vogliono tempo, anche dopo essere state compiute, perché siano vedute e ascoltate. Quest’azione è ancora sempre piú lontana da loro delle piú lontane costellazioni: eppure son loro che l’hanno compiuta!”. Si racconta ancora che l’uomo folle abbia fatto irruzione, quello stesso giorno, in diverse chiese e quivi abbia intonato il suo Requiem aeternam Deo. Cacciatone fuori e interrogato, si dice che si fosse limitato a rispondere invariabilmente in questo modo: “Che altro sono ancora queste chiese, se non le fosse e i sepolcri di Dio?”.

(F. Nietzsche, La gaia scienza, aforisma125, in Grande Antologia Filosofica, Marzorati, Milano, 1976, vol. XXV, pagg. 213-214)

 

Sono parole che lasciano quasi “senza fiato”; forse Nietzsche ci fa paura. E c’è una domanda che possiamo lasciarci fare: la vita è davvero un eterno incespicare, un vagare senza Dio e senza senso? Sì, Dio è morto, ma solo se Dio resta una costruzione mentale, un’illusione costruita solo per un po’ di conforto.

Di fronte alle parole pesanti di Nietzsche e di chiunque afferma con forza la morte di Dio, abbiamo bisogno di riscoprire il senso di questa parola “Dio”. E riscoprire la consistenza e il peso di questa parola per la nostra vita. Ne abbiamo bisogno perché Dio appare a volte così lontano dalle nostre vite, da quello che facciamo a tal punto da sembrare che non c’entri nulla con i rapporti che viviamo, con i nostri affetti più veri.

La parola che Dio rivolge al nostro cuore di credenti in questa quinta domenica di Pasqua ci dà un senso per scoprire il “peso” di Dio nella nostra vita.

Il Vangelo ci narra di Gesù raccolto nell’intimità dell’ultima cena, a poche ore dalla sua morte in croce. E proprio nelle ore più drammatiche della sua esistenza, in quell’ultima cena, Gesù stesso si concede ai suoi affetti più veri e viene fuori con quelle parole che sembrano un po’ difficili, appena Giuda il traditore se ne esce nella notte: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito.» (Gv. 13, 31-32).

Glorificare, cioè Dio si mostra in una sua chiarezza, appare la luce di Dio. Ed è qualcosa di già avvenuto con la sua vita e che ora – strano e difficile da capire – Dio mostra nell’ora della croce. Allora cosa vuol dire questo “glorificare”, se non che in Gesù Cristo Dio in fondo non solo lo puoi conoscere e riconoscere, ma che ne puoi fare esperienza nella tua vita. Incontrare Cristo nella vita, averlo incontrato, vuol dire che Dio è quanto di più reale e presente ci sia. Sì perché, per chi crede, Gesù Cristo è e rimane un fatto reale ed è una presenza nella storia, nel mondo, nella vita.

E dunque che cosa genera questa presenza? Se Dio c’è, che cosa succede? Risposta e nella seconda lettura, la dove si legge: «E Colui che sedeva sul trono disse: “Ecco, io faccio nuove tutte le cose”» (Ap 21,5). Questo succede se riconosci la presenza di Dio: c’è un modo nuovo di vivere e di vedere le cose. Essere cristiani è questa novità nella vita che è possibile; e allora come vivi tu la tua vita?

Anche qui la risposta la do lo stesso Gesù nel Vangelo: «Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Gv 13,34). Se tu ti accorgi che Dio è una presenza vera, allora lo prendi sul serio e guardi le persone che hai accanto e dici “vorrei amarti come ti ama Dio”. Il “come” di Gesù significa amatevi “perché” Dio ama. Ciò che ci spinge ad amare, vivere, volere bene è il fatto che prima di tutto è Lui, Dio, che ti ama. Essere cristiani e poter comprendere che una cosa è possibile: Dio mi ama, allora ci provo anch’io… E questo è il “comandamento nuovo”, questa è la novità: c’è una qualità diversa nel modo di amare. Io incontro Dio nella mia vita e non posso non cambiare qualcosa, perché cambia il mio modo di vedere le cose e di vivere i miei rapporti, le relazioni degli affetti più veri.

Che cosa ci portiamo nel cuore questa domenica? Possiamo riscoprire la nostra fede e ridare un senso alla parola “Dio”, e così dare un senso alla nostra vita. La luce di Dio non si è ancora spenta. Dio non è morto.

Nietzsche è morto, Marx è morto…e noi tutto sommato stiamo bene.