Assemblea sinodale

Franchezza e prospettive future

«Che grande esperienza di Chiesa abbiamo vissuto nei giorni scorsi!»

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Secondo alcune fonti, lunedì 18 novembre ricorrevano i 1.700 anni della dedicazione della prima Basilica di San Paolo, avvenuta nel 324 ad opera di papa Silvestro I. È probabile che sia una data convenzionale, «ma questa simbolica coincidenza ci fa apprezzare ancora di più il senso della nostra Assemblea». Lo ha sottolineato monsignor Castellucci nel “rilancio” che ha chiuso la prima assemblea sinodale nella mattinata di domenica 17 novembre.

Nei prossimi giorni il Comitato nazionale elaborerà le osservazioni emerse nei 90 tavoli sinodali, che hanno discusso le 17 schede. Queste sono il frutto dei tre anni di cammino sinodale, della prima fase di ascolto nei 50mila gruppi sinodali tenutisi in Italia nella primavera del 2021. L’anno successivo è stato quello dei cosiddetti “Cantieri di Betania”, organizzati come laboratori pastorali. Infine l’anno sapienziale, affidato soprattutto agli organismi di partecipazione ecclesiale, che hanno indicato alcune priorità. La domanda di fondo in questi anni è sempre quella di partenza: «Come possiamo essere Chiesa sinodale in missione?».

Per il 9 dicembre è annunciata la pubblicazione dello Strumento di lavoro, che verrà inviato alle diocesi, per essere studiato e dibattuto nel consiglio pastorale diocesano e nel consiglio presbiterale. Dopo di che ci sarà una seconda e più impegnativa sessione nazionale dal 31 marzo al 4 aprile prossimi, cui parteciperanno le stesse delegazioni. Queste elaboreranno le proposizioni da consegnare all’assemblea generale dei vescovi italiani in programma nel mese di maggio.

Tanta fatica non punta tanto al documento finale, in cui sono prevedibili decisioni che interesseranno tutte le diocesi italiane. Conta di più la strada fatta insieme in cui è maturato uno stile diverso di Chiesa, in cui l’accoglienza ha preso il posto degli steccati.

Il percorso ha coinvolto veramente tante persone e non c’è mai stata l’impressione che tanto lavoro fosse inutile perché in ogni caso le decisioni le avrebbero poi prese i soliti noti, nelle segrete stanze della Conferenza Episcopale Italiana.

Anche nell’assemblea dell’ultimo weekend la franchezza ha avuto piena cittadinanza. Come quando il delegato di Bolzano, Reinhard Demetz, ha evidenziato che le bellissime celebrazioni erano però segnate da una frattura: da una parte vescovi e preti, dall’altra i laici. Anche «la liturgia deve essere espressione di sinodalità. E noi eravamo due assemblee».

Molto toccante la testimonianza di una donna che 50 anni fa aveva vissuto la vivacità della Basilica di San Paolo attorno all’abate Giovanni Franzoni, poi dimesso dal ministero per alcune posizioni di avanguadia: «Allora c’erano mille persone ogni domenica attorno all’altare. Sognavamo “non un’altra Chiesa ma una Chiesa altra”. Giovanni è stato un profeta scartato dalla nostra Chiesa». Eppure – ha detto la signora, rivolgendosi idealmente al compianto maestro – «ci hai regalato le ali per il sogno di una Chiesa evangelica. Abbiamo volato senza rete. Volare insieme è più bello».

Marco Impagliazzo, della comunità di Sant’Egidio, ha preso la parola per sottolineare che «stiamo vivendo un tempo della storia drammatico, anche nella società italiana. Ma non possiamo abituarci al dramma. Abbiamo il dovere di pregare sempre per la pace. Questo è un tempo che richiede alla Chiesa di essere baluardo di umanità. La stessa sinodalità è un atto di profezia sociale in un mondo in cui si è spento lo spirito di partecipazione. Perfino al Consiglio di sicurezza dell’Onu ormai si litiga solo e non si comunica più. Invece qui noi stiamo sperimentando la comunicazione».

I nostri non hanno preso la parola, ma oggi Anna ci scrive: «Che grande esperienza di Chiesa abbiamo vissuto nei giorni scorsi! Non vediamo l’ora di condividerla con tutti!».

Davide Fiocco