Venerdì 30 agosto, nell’artistica cornice della chiesa di Sant’Antonio abate di Laggio di Cadore, è stato presentato al pubblico l’ultimo volume della fortunata collana “Tesori d’arte nelle chiese del Bellunese”, dedicato all’Oltrepiave (Vigo e Lorenzago). Si è trattato di un “ritorno”, in quanto il primo volume – uscito nel 2003 – focalizzava l’attenzione sulle chiese di Vigo di Cadore. Grazie alla intuizione e alla passione di persone come il vescovo Vincenzo Savio e Flaminio Da Deppo, più volte ricordati nel corso della serata, che all’inizio di questo progetto avevano avuto una visione creativa del futuro, si è potuta avviare questa iniziativa, vero e proprio “fiore all’occhiello” della Provincia e della Diocesi, in grado di promuovere la valorizzazione e la tutela del patrimonio storico-artistico e di trasmettere la memoria culturale del territorio.
Frutto di una virtuosa collaborazione tra diversi Enti, in particolare Diocesi, Provincia e Soprintendenza, in questa densa pubblicazione – a cura di Letizia Lonzi e Marco Zucco – dodici studiosi hanno ulteriormente approfondito e indagato l’importante patrimonio di fede e arte custodito nelle chiese di queste comunità locali, trattando con dovizia di documenti e immagini numerose tematiche (dal contesto sociale ed economico all’oreficeria, passando per l’architettura, l’arte e addirittura le campane) facendo emergere uno straordinario palinsesto storico-artistico nonché la vivacità e l’apertura del Cadore. Infatti è ormai un dato acquisito dalla recente letteratura specialistica quello dei rapporti tra il Cadore e il Friuli, che sono stati molteplici e stretti in virtù della posizione geografica e dei secolari legami politici, culturali, religiosi ed economici intercorsi tra i due territori. Le vicende storiche ottocentesche e l’attuale ridefinizione della geografia politica avevano impedito per molto tempo una comprensione corretta di questo tema, dimenticando che nel passato il Cadore – e nello specifico di questa ricerca la zona dell’Oltrepiave – era una terra di frontiera, crocevia, situata non solo lungo l’asse Nord-Sud (e quindi facilmente aperta alle sollecitazioni culturali provenienti dal mondo tedesco e da quello veneziano) ma anche lungo quello Est-Ovest, sino a proiettarsi verso la Carnia e il Friuli. Tramite il Passo della Mauria – ancora oggi il collegamento più diretto tra i due versanti – passavano uomini, merci, idee, cultura, sapienza tecnica e devozioni popolari. In tal modo nel passato si era venuto a instaurare un vivace dialogo osmotico. In molti saggi si mette in evidenza la presenza di maestranze carniche e friulane attive in Cadore, come gli Schiavi, capomastri, impresari e architetti, i pittori Pietro Fuluto e Pietro da San Vito al Tagliamento, gli intagliatori Pittoni e Comuzzo e altri ancora. Tale scambio non era, naturalmente, a senso unico, perché anche artigiani cadorini erano chiamati a lavorare nel vicino Friuli. Con questa pubblicazione si è dato rilievo alla specificità del territorio cadorino che non si può affrettatamente omologare alla realtà bellunese o più genericamente veneziana ma riveste una sua caratteristica e una sua peculiare identità, di cui l’antica “friulanità” è una componente e un retaggio assai rilevante.
Sono intervenuti il pievano monsignor Renato De Vido, i sindaci dei comuni di Vigo e Lorenzago, Silvia Calligaro e Marco D’Ambros, Anna Zandegiacomo in rappresentanza della Magnifica Comunità di Cadore, e il presidente della Provincia Roberto Padrin.
Sono seguiti gli interventi dei due curatori. Dapprima Marco Zucco, il quale, in maniera appassionata, ha coinvolto il pubblico e lo ha aiutato a riflettere sull’importanza di “guardare” le opere, non in maniera distratta e superficiale, tramite una selezione di alcuni suggestivi dettagli fotografici delle opere delle chiese di Vigo e Lorenzago. Poi Letizia Lonzi, storica dell’arte, che è entrata più nello specifico in merito ai contenuti affrontati nel volume e ha illustrato i temi dei saggi.
A chiudere la presentazione sono state le parole del vescovo Renato Marangoni, che ha manifestato il suo apprezzamento per tale iniziativa. Il Vescovo si è soffermato su tre aspetti. Innanzitutto queste comunità sono caratterizzate da un incrocio di vie e di passaggi e questa particolare situazione ha determinato la ricchezza di tesori artistici: «Il meglio di noi lo diamo quando ci apriamo, quando siamo in relazione, sensibili allo scambio e capaci di donare. Il contatto con chi viene da fuori, pensiamo ai migranti, è un valore aggiunto». Il secondo punto è quello delle chiese come “tesoro vivo”: le chiese – come quella di Santa Margherita di Salagona – non nascono come luoghi di conservazione ma sono strutture vive e vissute dalle comunità di fedeli, sono realtà pulsanti e lo dimostrano le celebrazioni eucaristiche che ivi si svolgono. Il Vescovo ha richiamato l’importanza di guardare le opere d’arte tenendo conto della visione della società che le ha commissionate e la loro finalità e destinazione originarie. Le opere d’arte sono prima di tutto una manifestazione della fede degli abitanti che nonostante le poche risorse e la povertà non badavano a spese per ornare e rendere bello e decoroso il proprio luogo di culto, commissionando la realizzazione di manufatti e arredi alle sapienti mani di abili artisti e artigiani. Infine, una ricerca come quella dei “Tesori d’arte” ci proietta verso il futuro. Il vescovo Renato ha ricordato una lettera di papa Francesco sul ruolo della letteratura: «Nella lettura – scrive il Papa – il lettore si arricchisce di ciò che riceve dall’autore, ma questo allo stesso tempo gli permette di far fiorire la ricchezza della propria persona, così che ogni nuova opera che legge rinnova e amplia il proprio universo personale». Lo stesso discorso vale anche per l’arte, con la quale si può instaurare un rapporto vivo e si può imparare la vita, grazie alle emozioni che le opere suscitano in noi.
Giorgio Reolon