Pagine di storia della Chiesa

Il faticoso avvio del Seminario a Feltre

Un grande impegno economico richiesto alla diocesi nel 1593 dal vescovo Giacomo Rovellio

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Mentre a Belluno il vescovo si dava da fare a dar vita al seminario pur con una sede modesta e poco capiente, pur prevedendo l’accoglienza di altri seminaristi in famiglie della città, come suggeritogli da Roma, bene mentre a Belluno accadeva questo, a Feltre nulla si muoveva.

Era vescovo il bolognese Filippo Maria Campeggi (1559-1584), che aveva preso parte ai lavori del terzo periodo del concilio (1562-1563), in cui si era delineato un nuovo modello di governo episcopale. Campeggi, pur sostenuto da zelo pastorale, continuò a incarnare un modello episcopale antiquato: indagare sugli abusi e procedere a correggere. Per tal motivo batté ripetutamente il territorio della diocesi con numerose visite pastorali. Indefesso nel correggere abusi morali e nel contrastare la penetrazione delle dottrine luterane, mancò assolutamente nel proporre iniziative nuove, che non avrebbe dovuto inventarsi, ma che il concilio gli aveva messo in mano: non convocò mai il sinodo, non organizzò le congreghe periodiche del clero e quanto al seminario non fece nulla.

Il suo successore, il salodiese Giacomo Rovellio (1584-1610) fu un vulcano di iniziative pastorali e per quanto riguarda il seminario la sua buona volontà si scontrava però con il solito ostacolo: il finanziamento dell’iniziativa. In occasione della sua prima visita ad limina a Roma, era l’agosto del 1588, Rovellio affrontò il problema col cardinale Antonio Carafa, prefetto della Congregazione del Concilio. Egli riferì al porporato che i benefici della sua diocesi non erano tali per numero e per entità delle rendite (tutte ben esaminate nella visita pastorale di tre anni prima) da poter ricavare una somma per acquistare o costruire un edificio da adibire a seminario. Il porporato gli rispose che non potendo realizzare il seminario nella forma prevista da Trento, facesse però ugualmente un’imposizione su tutti i benefici della diocesi in modo da raccogliere annualmente una somma bastante per stipendiare due soli maestri: uno di musica e uno di grammatica.

Tra il 1589 e il 1590 venne costituita la commissione amministrativa per la raccolta dei fondi necessari per avviare quel minimo di attività di insegnamento. Il concilio aveva stabilito che la commissione doveva essere composta di quattro membri: due dal Capitolo della cattedrale e due dal clero cittadino. Tra i canonici Rovellio scelse Pellegrino Mastorcio, che era stato il più stretto collaboratore del suo predecessore, mentre il Capitolo elesse Vittore Tonello, arcidiacono della cattedrale. Il clero diocesano riunito nel sinodo elesse alla commissione un altro canonico, Carlo Villabruna, mentre Rovellio nominò il mansionario Pietro Trento.

Un anno dopo la commissione, che aveva svolto opportune indagini, presentò al vescovo il prospetto dei redditi di ogni beneficio ecclesiastico della diocesi feltrina con il corrispettivo elenco della tassa che ogni titolare avrebbe dovuto versare. Il contributo più sostanzioso sarebbe venuto dalla mensa vescovile, calcolato in 46 lire venete e 5 soldi; tra i canonici la tassa più alta la doveva versare il canonico teologo, titolare della prebenda più pingue: 7 lire e 6 soldi. Tra i benefici parrocchiali si andava, nel territorio veneto, dalle 9 lire di Santa Giustina ai 6 soldi di Villabruna e ai 4 di Primolano, mentre nel territorio imperiale dalle 12 lire di Borgo e di Roncegno ai 6 soldi di Torcegno e ai 4 sia di Lavarone che di Canal San Bovo. Cifre ben lontane da quelle imposte alle pievi della diocesi di Belluno. Se il pievano di Santa Giustina versava 9 lire, quello confinante di Sedico sborsava 20 lire, tre volte tanto. Le più alte contribuzioni nella diocesi feltrina erano le 12 lire di Borgo Valsugana e Roncegno, e pur essendo benefici assai redditizi eran ben lontani dalle 40 lire imposte alle pievi di Castion e di Cadola nella diocesi bellunese. Oltre che sui benefici, il contributo era imposto anche su tutte singole le chiese, come si può vedere dalla foto. Rovellio legò al seminario il reddito di due priorati (benefici sine cura): San Gabriele di Busche, pieve di Cesio, e Altin, curazia di Vignui.

Finalmente nel 1593, Rovellio dava avvio all’attività formativa; affidò l’insegnamento a due francescani conventuali del convento cittadino di Santa Maria del Prato: Paolo Macerio per il latino e Ludovico Balbi per il canto liturgico. I ragazzi che costituivano la prima comunità di seminaristi erano dieci. Vi era questo minimo sindacale di attività formativa, per questi seminaristi che vivevano in famiglia e negli anni seguenti in sedi di fortuna. La riscossione dei contributi da parte dei beneficiati del territorio imperiale della diocesi era pressocché impossibile. Quei preti avevano buon gioco a sottrarsi, spalleggiati dai locali dinasti tirolesi, ai quali pero eran ben solleciti a sborsare una percentuale delle loro rendite beneficiali per il mantenimento dei loro cani.
È doveroso ricordare quattro presuli particolarmente benemeriti verso il seminario. Il bassanese Zerbino Lugo (1640-1647), che di tasca sua acquistò un edificio davanti alla cattedrale e ne avviò i restauri. Il comelicese Bartolomeo Gera (1664-1681), che diede notevole impulso ai lavori. Antonio Polcenigo (1684-1724) terminò i lavori, inaugurò la nuova sede nell’ottobre 1704, costituì la biblioteca, chiamò docenti assai qualificati. Pietro Maria Suarez (1724-1747) costruì una nuova ala, dirimpetto alla sede principale, sull’altro lato della strada che conduce alla cattedrale, e fornì il seminario di una tipografia. Durante il suo episcopato i seminaristi eran circa sessanta ogni anno: in testa per numero le pievi di Pergine, della cattedrale e di Tesino.

don Claudio Centa


Nella foto: dall’elenco delle imposizioni in favore del seminario sulle rendite dei parroci e su quelle delle chiese; le tasse dovute dalle pievi di Servo e di Lamon e dalle parrocchie di Rasi e di Primolano (Archivio Diocesano di Feltre, Canc. Vesc., Atti vari, vol. 263, foglio non numerato, verso).