Giornata del Malato

La pastorale della salute tra realtà e prospettive

L’azione della Chiesa per recare luce e grazia a quanti soffrono e a quanti se ne prendono cura

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Nei giorni scorsi un quotidiano locale ha contattato sorella Miriam Lessio, responsabile dell’Ufficio di Pastorale della Salute, proponendole alcune domande sull’attività che svolge in diocesi. Riprendiamo qui le sue riflessioni in vista dell’ormai prossima Giornata mondiale del malato.

– In che cosa consiste la sua attività?

Innanzi tutto è considerare cos’è la pastorale della salute e di cosa si occupa, per poi riferirmi all’attività dell’ufficio nel contesto della diocesi di Belluno-Feltre.

Nella Nota della Consulta Nazionale CEI, dal titolo La pastorale della salute nella Chiesa italiana (1989), questa pastorale è descritta come «la presenza e l’azione della Chiesa per recare la luce e la grazia del Signore a coloro che soffrono e a quanti se ne prendono cura. Non viene rivolta solo ai malati, ma anche ai sani, ispirando una cultura più sensibile alla sofferenza, all’emarginazione e ai valori della vita e della salute» (n. 19).

La pastorale della salute è dunque l’azione attraverso cui la Chiesa desidera farsi accanto nel cammino di quanti soffrono e di coloro che se ne prendono cura, familiari od operatori sanitari.

Nel concreto, questo tipo di pastorale ha poi le sue declinazioni all’interno dell’azione pastorale diocesana attraverso: l’equipe dell’ufficio diocesano, i cappellani e gli altri collaboratori che prestano il loro servizio negli ospedali e nelle Case di riposo, il volontariato nelle strutture sanitarie o presso le famiglie. In modi differenti si cerca di vivere la logica evangelica del buon Samaritano: egli si è preso cura di un uomo incappato nei briganti, scegliendo di fermarsi dal suo viaggio per soccorrerlo. La condizione di quest’uomo picchiato e derubato, è stata vissuta con indifferenza da alcuni e con grande compassione da quest’uomo originario della Samaria. Il Vangelo ci riporta una vicenda che racconta una sfaccettatura della realtà che ancor oggi tocchiamo con mano: di fronte ai bisogni e alle sofferenze di fratelli e sorelle, c’è chi resta indifferente e chi, invece, decide di intervenire e portare soccorso. Gesù invita ogni suo discepolo a non passare indifferente: «Va’ e anche tu fa’ così» (Lc 10,37). In modi differenti, la pastorale della salute cerca di rispondere a questo appello.

In diocesi di Belluno-Feltre l’ufficio ha ripreso la sua attività nel febbraio del 2023. Ho ricevuto incarico dal vescovo di esserne referente e di promuovere nuovamente l’attenzione materna della Chiesa verso quanti soffrono, sono malati e a volte per questo emarginati, verso i loro familiari, verso quanti lavorano nei luoghi della cura. Non ci sono solo io però, siamo un’equipe che lavora insieme; essa cerca di conoscere meglio il territorio e creare collaborazione con associazioni e parrocchie.

Io sono una religiosa dell’istituto “Discepole del Vangelo, che ha la sua sede a Castelfranco Veneto, ma che è presente con una delle sue fraternità a Livinallongo del Col di Lana. Gli altri quattro membri sono laici della zona di Feltre, Ponte nelle Alpi, Belluno e Rivamonte; tre sono professionisti che operano all’interno dell’Azienda Sanitaria ULSS Dolomiti 1 e uno è un infermiere in pensione. Stiamo raccogliendo l’eredità di chi ci ha preceduto e cerchiamo di interrogarci per cogliere le priorità in cui è possibile compiere qualcosa a servizio del malato.

 

– Quali sono le criticità che ha evidenziato durante la sua attività nel bellunese?

Per quanto riguarda il nostro ambito pastorale, una delle criticità più grandi, che è colta anche da altri, sia a livello ecclesiale che civile, è la grande solitudine che molte persone si trovano a vivere. Solitudine dovuta al fatto che: le persone sono anziane, spesso con i figli lontani; le condizioni di malattia e anzianità comportano un confinamento al proprio domicilio; lunghi periodi di convalescenza in ospedale; lo sfilacciarsi dei legami sociali. Sole si possono sentire anche le famiglie che accudiscono la persona anziana o malata in casa, perché non sempre conoscono i servizi a cui possono fare riferimento per ricevere aiuto e sostegno e perché non dappertutto è possibile contare su un supporto “di vicinato”, ovvero sull’attenzione di persone o famiglie vicine che si fanno sentinelle dei bisogni e delle esigenze di queste persone.

– Chi sono i fragili oggi nella nostra provincia?

Fragili lo siamo tutti, perché la fragilità è parte della nostra natura umana ma, come dice don Massimo Angelelli, direttore dell’ufficio nazionale di Pastorale della Salute, «tutte le volte in cui attraversiamo dei momenti avversi, la nostra fragilità subisce uno squilibrio». È questo momento di squilibrio quello estremamente delicato. Per far capire meglio, don Massimo usa spesso l’immagine di un bicchiere di cristallo: di per sé è un oggetto molto fragile, perché lo è per costituzione, ma non significa che sia per questo difettoso. Se, però, poniamo questo bicchiere di cristallo in bilico sul bordo di un tavolo, quindi in una condizione di pericolo che lo espone ad una grande vulnerabilità, il bicchiere facilmente cadrà, “perché non è stato trattato con le cure necessarie”. Le cure sono tutti quei gesti che permettono di rimettere in sicurezza la fragilità e permettono alla fragilità di diventare un’occasione per vivere con speranza e con fiducia; questo dovrebbe essere il compito che, come Chiesa e come società, dovremmo perseguire.

Allora, in riferimento a persone fragili esposte a dimensioni di vulnerabilità, penso agli anziani ma non solo. Ad esempio, c’è un forte aumento di disturbi psichiatrici tra i giovani, dovuti ad abuso di sostanze o ad ambienti di vita poveri di stimoli, di relazioni, di disagi inespressi che li portano a forme di autolesionismo o a disturbi alimentari e depressivi… ancora, penso a coloro che, nella loro situazione di vulnerabilità, per svariate ragioni non hanno attorno a sé un supporto e una vicinanza, non solo di familiari, ma anche di figure terze.

 

– Quali sono le richieste che arrivano dalle persone fragili?

Ascolto, vicinanza, bisogno di relazioni buone, cura, prossimità fraterna. Per chi è credente, c’è il bisogno e il desiderio della vicinanza della propria comunità parrocchiale. Per chi vive in zone disagiate della nostra provincia, c’è il desiderio di un sistema sociale e sanitario che non si dimentichi di loro.

 

– Cosa lei ha potuto fare per alleviare queste criticità?

La nostra attività è un “work in progress”. Con il nuovo avvio dell’ufficio, il tentativo iniziale è stato innanzitutto quello di conoscere e di raccogliere le esperienze di attenzione e cura già presenti in Diocesi, attraverso la vita parrocchiale e le associazioni cattoliche, e nel territorio tramite i servizi e le associazioni civili. Abbiamo cercato il contatto con alcune di loro per avviare qualcosa insieme. Più che azioni mirate, il lavoro in questo tempo è stato far conoscere meglio questo ambito di pastorale, offrire occasioni di scambio e riflessione e raccogliere da persone sensibili sul tema quello che, a parere loro, richiedeva di essere preso in mano. Anche in ascolto di questi suggerimenti, abbiamo compiuto alcune scelte. Nel febbraio del 2024, coinvolgendo l’associazione Cucchini, che opera presso l’hospice “Casa Tua due” di Belluno, abbiamo dedicato una mattinata di formazione per presbiteri dal titolo: “Prendersi cura della persona malata. La possibilità di relazioni profonde nella malattia”, con la partecipazione del dott. Giuseppe Zanne, direttore dell’hospice, la psicologa Emma Sommacal, e Franco Fiamoi, volontario dell’associazione. Tra ottobre e novembre dello scorso anno sono stati programmati degli incontri tra il Direttore Generale ULSS Dolomiti 1, il dott. Giuseppe Dal Ben, e i presbiteri diocesani negli ospedali di Pieve di Cadore, Belluno e Feltre, per una possibilità di dialogo e conoscenza dei servizi sanitari presenti nel territorio. Questo al fine di diffondere la conoscenza delle possibilità di servizi a disposizione delle persone, tante volte non conosciuti. I presbiteri, come figura intermedia tra il Servizio Sanitario e le famiglie, possono contribuire e aiutare in questo. Inoltre, abbiamo curato una formazione con l’ufficio liturgico per quelle persone che svolgono un servizio nella comunità parrocchiale e portano l’Eucaristia in casa di malati e anziani che lo desiderano, offrendo anche un tempo di ascolto e condivisione.

– Che cosa, secondo lei, si può fare come società per supportare queste persone e migliorare i servizi?

Le rispondo con alcune parole del Papa, scritte nella sua recente enciclica Dilexit nos («Ci ha amati»):

«abbiamo bisogno di recuperare l’importanza del cuore (DN 2). Se il cuore è svalutato, si svaluta anche ciò che significa parlare dal cuore, agire con il cuore, maturare e curare il cuore (DN 11). Occorre affermare che abbiamo un cuore, che il nostro cuore coesiste con gli altri cuori che lo aiutano ad essere un “tu” (DN 12). Prendere sul serio il cuore ha conseguenze sociali. Come insegna il Concilio Vaticano II, “ciascuno di noi deve adoperarsi per mutare il suo cuore, aprendo gli occhi sul mondo intero e su tutte quelle cose che gli uomini possono compiere insieme per condurre l’umanità verso un migliore destino”» (Cost. past. Gaudium et spes, 82; DN 29).

Ecco allora che come società penso ci sia bisogno di rimettere al centro la buona pratica di relazioni buone, capaci di riconoscimento reciproco, di valorizzazione delle differenze, di ascolto, di inclusione contro l’emarginazione, di accoglienza e rispetto. Tutto questo comporta mettere al centro la persona e scegliere che essa, il suo bene, sia criterio di discernimento per le scelte da compiere. In questa società soffriamo tutti un po’ di individualismo, abbiamo bisogno di riscoprire il valore della fratellanza che dall’”io” ci apre al “noi”. I servizi sono tali se aiutano le persone ad accedere con facilità a ciò di cui hanno bisogno, se offrono spazi di accoglienza e condivisione, se sono inclusivi, senza lasciare indietro qualcuno. Ci sono molte belle testimonianze nel nostro territorio, ma si può fare ancora molto.

 

– Quali sono i suoi obiettivi per questo 2025?

Questo è un anno particolare per la Chiesa perché è un anno giubilare. Papa Francesco ha racchiuso nel verbo “ricominciare” il valore di questo cammino personale e comunitario a cui ci invita. “Il Giubileo è un nuovo inizio, la possibilità per tutti di ripartire da Dio. Con il Giubileo si incomincia una via, una nuova tappa” ha detto ancora il Papa (11 gennaio 2025, discorso alla prima udienza giubilare). Gli obiettivi di quest’anno, come ufficio di pastorale della salute, si intrecciano con il cammino ecclesiale del Giubileo. Speriamo di portare speranza attraverso qualche gesto concreto di vicinanza che quest’anno prevede un progetto, tra febbraio e marzo nell’ospedale di Belluno, per essere maggiormente vicini alle persone ricoverate e offrire, a chi lo desidera, l’accompagnamento nella fede; la partecipazione alle giornate del Giubileo per gli ammalati, i loro familiari e per il mondo della salute a Roma nelle giornate del 4-6 aprile, in collaborazione con l’Unitalsi diocesana e l’Unitalsi e l’Ufficio di pastorale della salute della diocesi di Vittorio Veneto; nel periodo di maggio-giugno alcune domeniche chiamate “giornate della speranza” con un appuntamento in varie parti della Diocesi, per tenere viva l’attenzione alle dimensioni della sofferenza e della malattia, per far sentire meno solo chi si trova a vivere queste situazioni, per trasmettere il calore di una comunità che prega e che si mette accanto a ciascuno; un incontro a giugno per presbiteri e operatori pastorali della Diocesi, tenuto dal direttore dell’ufficio nazionale di pastorale della salute, don Massimo Angelelli, per aprire una riflessione su come le nostre comunità possono diventare comunità sananti ed essere luogo in cui, anche chi è malato, può trovare uno spazio per portare il suo contributo. Nutro anche il desiderio che sempre più si diffonda, nelle comunità ecclesiali, ma anche nel territorio, la cultura dell’I care («Mi interesso», «Mi prendo cura»), ovvero quel prendersi a cuore attraverso la visita, l’incontro, l’interessarsi dell’altro che mi abita accanto, dell’anziano che è solo a cui posso dedicare del tempo, del vicino che non conosco verso cui posso fare il primo passo.