A cura di don Sandro De Gasperi (domenica di Pentecoste - anno C)

L’unica lingua che tutti comprendono

Tutti gli esseri umani la comprendono, perché porta la vita, la gioia, la pienezza di Dio

Facebooktwitterredditpinterestlinkedinmail

Alla Messa vespertina della vigilia

Te lo raccontano ancora oggi, gli emigranti che hanno lasciato le nostre valli alla ricerca di fortuna, inseguendo il sogno di una vita migliore che il suolo aspro delle montagne sembrava non poter dare: arrivati in Svizzera, in Francia o in America, ricordano la fatica della lingua, il disagio di non poter capire e di non potersi spiegare, la gioia di sentire una lingua conosciuta e amata, che faceva respirare aria di casa.

La pagina della Genesi che ascoltiamo in questa liturgia vigiliare – che ci ricorda l’importanza della festa di Pentecoste, la seconda solennità dell’Anno Liturgico dopo la Pasqua – fa sorgere in noi una domanda: l’uomo è l’unico essere dotato di parola. Eppure, è più facile non capirsi che spiegarsi: non è solo una questione di lingue diverse, come capitava agli emigranti delle nostre terre. Capita anche tra persone che parlano la stessa lingua, come testimonia l’esperienza che tutti abbiamo fatto di essere fraintesi, di non essere compresi, di non riuscire a sintonizzarci su quello che l’altra persona vuole dirci.

Capita anche con Dio: la nostra preghiera – soprattutto se chiediamo qualcosa – sembra non essere capita e ci viene spesso il dubbio che Lui non ci abbia ascoltato o che non ci abbia esaudito. La Pentecoste risponde proprio al nostro disagio, a queste esperienze così diffuse, che tutti abbiamo sperimentato: lo Spirito Santo – afferma Paolo – viene in soccorso alla nostra debolezza. Lo Spirito Santo ispira la nostra preghiera. Lo Spirito Santo ci insegna, piano piano, progressivamente, una lingua comune, che è l’acqua viva che disseta la nostra sete di amore, di gioia, di vita bella e buona. Se la Risurrezione inaugura la pienezza della vita, nella Pentecoste, grazie al dono dello Spirito Santo che viene effuso su di noi, ci viene aperta la possibilità di entrare anche noi nella Pasqua di Gesù.

Non è la soluzione di tutti i problemi: Paolo – molto onestamente e con grande chiarezza – ci ricorda che siamo ancora immersi nel gemito della creazione, nell’anelito silenzioso che sale a Dio dalle contraddizioni del nostro mondo, dalle fatiche e dalle speranze, dalle inquietudini e dai desideri che ci abitano. Eppure, proprio in questa confusione di lingue – che a volte anche con violenza cercano di prendere il sopravvento le une sulle altre –, proprio in questo marasma di gemiti e di attese, nella dispersione che sperimentiamo e che a volte diventa contrapposizione, lo Spirito Santo fa sgorgare la speranza, ci fa prendere consapevolezza della nostra identità di figli e di figlie, ci dona uno sguardo nuovo.

Lo Spirito Santo fa sgorgare nel nostro cuore lo stupore della comunione, la meraviglia di scoprirci capaci di sintonizzarci gli uni sui desideri e i bisogni degli altri: la lingua – affermano autorevoli studi – è fatta per la maggior parte dall’atteggiamento del corpo, dal linguaggio non verbale. E grazie allo Spirito, che ci insegna dolcemente la lingua dell’amore, riusciamo a ricostituire la nostra umanità, a ristabilire la fraternità, ad armonizzare la diversità senza temerla, ma accogliendola come ricchezza. Abbiamo bisogno di metterci con fiducia e grande umiltà alla scuola di comunione dello Spirito, come singoli, come comunità cristiana, come umanità tutta: a Lui, chiediamo di spalancare i nostri cuori, di incendiarli dell’amore di Dio, di renderli capaci di parlare sempre più fluentemente, sempre più correntemente, sempre più spesso la lingua universale dell’amore.

 

Alla Messa del giorno

Partiva nel 1879 dalle valli dolomitiche, alla volta della Cina: non c’era Internet, né la televisione. Nulla si sapeva di quel mondo lontano, così diverso da noi: molti abbandonavano l’avaro suolo delle montagne alla ricerca di fortuna. Lui, Giuseppe Freinademetz, santo dal 2003, lasciava tutto per andare a portare il Vangelo nell’Estremo Oriente, dove morirà nel 1908, senza mai essere ritornato in patria, con un’unica certezza: «La lingua dell’amore è l’unica lingua che tutti comprendono».

Nella solennità di Pentecoste, riviviamo ciò che ci hanno raccontato gli Atti degli Apostoli e che tante volte, nella storia della Chiesa, si è ripetuto grazie alla vita di tanti santi e di tante sante, alcuni ufficialmente canonizzati, altri rimasti anonimi e sconosciuti – ma non per questo, meno importanti. Persone che si sono lasciate ispirare, guidare, irrorare dallo Spirito Santo che il Risorto ha inviato ai suoi discepoli, persone che si sono lasciate plasmare dallo Spirito di libertà, che li ha resi capolavori. Oggi, nella seconda solennità dell’anno liturgico – inscindibile dalla Pasqua –, noi viviamo il realizzarsi della promessa che il Signore Gesù aveva affidato ai suoi nell’Ultima Cena: l’effusione dello Spirito, che ci costituisce popolo di Dio, che ci sostiene nelle sfide della storia, che ci rende Chiesa, compie il Mistero Pasquale.

Dio entra nel nostro cuore, perché noi possiamo entrare nel Suo. In quello che siamo, entra l’amore stesso di Dio, che trasfigura, che purifica, che eleva. Nella nostra fragilità, nella nostra debolezza, nella nostra paura, irrompe la forza di Dio, che abbatte le barriere, che avvicina, che permette di riconoscere nel volto dell’altro un fratello o una sorella. Nel nostro limite, nella nostra incompiutezza, nella nostra imperfezione, respira il soffio stesso di Dio, che ci guida a parlare la lingua dell’amore. Spesso, siamo poco o nulla consapevoli del tocco dello Spirito, della Sua azione discreta e potente, del Suo abitare silenziosamente in noi. Attribuiamo le nostre opere buone a noi stessi, alla nostra iniziativa, alla nostra abilità; guardiamo al mondo – significativo, il Salmo che abbiamo pregato, che ci ricorda che lo Spirito Santo coinvolge nella vita anche le creature che ci circondano! – come ad un contenitore ben congegnato, che procede autonomamente, senza bisogno del soffio di Dio.

Leggiamo le vicende della Chiesa come ad un’arena politica, in cui si scontrano correnti contrapposte, senza cercare la voce flebile dello Spirito che la guida, che suscita in ciascuno dei suoi membri, e quindi anche in noi, la consapevolezza mozzafiato della paternità di Dio. Oggi, desideriamo invocare ancora il dono dello Spirito Santo: oggi desideriamo accoglierlo come dono dall’alto, la cui presenza ci riempie di gratitudine e di stupore. Oggi, desideriamo rinnovare la risposta d’amore che la dimora della Spirito sollecita in noi, che chiamiamo fede e che richiede la conversione dello sguardo, del cuore, del pensiero, per diventare partecipi dello sguardo, del cuore, del pensiero stesso di Dio.

Oggi, desideriamo chiedere allo Spirito Santo di insegnarci ancora e meglio la lingua dell’amore, la lingua di Dio, che attraversa confini, culture, tempi: quella lingua che la Chiesa balbetta in tutto il mondo, riunendo nella professione della fede e nella vita della carità uomini e donne di tutte le latitudini e di tutti i popoli. Quella lingua che tutti gli esseri umani comprendono, perché porta la vita, la gioia, la pienezza di Dio.


Dopo il dono di queste due omelie, don Sandro De Gasperi passa il testimone a don Matteo Colle, parroco di Villabruna, Arson, Lamen e Vignui. Ringraziamo don Sandro per il servizio di questi mesi e diamo il benvenuto a don Matteo.

L’icona che orna questa pagina è di Michela Rossa.