Continuiamo la lettura corsiva di Marco e dalle immagini dell’agricoltura ci troviamo in mezzo al lago, ma troviamo ancora il filo rosso della fede.
La stanchezza di Gesù è ben comprensibile visto che Marco sottolinea che siamo alla fine della giornata, contraddistinta da incontri e lunghe conversazioni. Anche Gesù cede al peso della stanchezza e si addormenta nella barca, ma i discepoli fanno crollare, con altrettanta rapidità, la loro fede nel Maestro. Non basta ascoltare le sue parole per seguirlo ed essere discepoli, serve coltivare la fede personale con la fiducia del contadino che aspetta la crescita del seme. Un lavoro lento e costante, inaspettato e sorprendente. Vediamo Gesù che si abbandona al sonno, sicuro che non possa succedere niente di tragico, il suo rapporto con il Padre lo fa stare al sicuro lungo la traversata.
Di tutt’altra pasta sono i discepoli, si mostrano con molta semplicità nella loro paura, sono presi completamente alla sprovvista e non sanno cosa fare davanti alla tempesta. Non è un evento nuovo o straordinario, ma nella barca con Gesù, nella notte si fanno prendere da panico: tutto diventa enorme, inaffrontabile; sembra che siano soli. Le parole dell’Orazione ci rasserenano e vengono in nostro aiuto: «rendi salda la fede dei tuoi figli perché nelle tempeste delle vita possano scorgere la tua presenza forte e amorevole».
Gesù porta un’autorità nuova, una visione nuova o più ampia e anche i discepoli imparano ancora qualcosa. La presenza di Dio è davvero pervasiva, non lascia indietro niente e nessuno, neanche le forze della natura che possono spaventarci. Proprio ciò che ci spaventa può essere affidato a lui perché sa cosa dire alle nostre paure per curarle e guarirle, si prendere cura di tutte le tempeste della vita e con autorità e delicatezza di mostra Signore. Come dice san Paolo: «Se uno è in Cristo, è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate; ecco, ne sono nate di nuove». Noi possiamo sentirla vera e viva nella nostra vita questa novità, ma possiamo anche testimoniarla, niente ci vieta di raccontare la forza della sua guarigione.
I discepoli usano un tono rassegnato: «Maestro, non t’importa che siamo perduti?», si sentono profondamente soli in quella tempesta. Troviamo anche nelle parole di Dio rivolte a Giobbe un’espressione di forza che ci invita a guardare con fiducia a lui perché la sua presenza ci dona sicurezza nelle prove e nelle avversità.
Ci da pace sentire che arriva la bonaccia, che la calma torna e non siamo soli, possiamo stupirci anche noi, è importante scoprire la novità di Dio che ci sorprende ed esce dai nostri schemi, come i vangeli di queste domeniche sottolineano.
«Sperimenteremo la consolazione di sentirlo vicino, lo stupore di riconoscerlo signore di ogni cosa e, soprattutto, la gioia di accorgerci che la sua bonaccia è per tutti, la sua protezione per ogni persona di questa sua amata umanità» (Chiara Curzel).
Forse, in realtà è la nostra fede che dome; perciò svegliamoci.