Viviamo in un territorio montano, tra i più belli del mondo. Abbiamo poca esperienza di mare: solo l’emigrazione ci ha permesso di familiarizzare con i porti. Un’espressione come “promessa da marinaio”, forse, ci dice poco: i marinai promettevano mari e monti alle giovani ragazze che si erano innamorate di loro, consapevoli che, a causa del loro duro lavoro, si sarebbero spostati presto e non avrebbero potuto e dovuto mantenere la loro parola. Per sua natura, la parola detta ha un carattere effimero, veloce, volatile: già gli antichi Romani se n’erano accorti e avevano suggerito di scrivere per affidare alla posterità accordi commerciali e privati, committenti di grandi opere e opere letterarie che sono diventate immortali.
In questa domenica, siamo invitati a prendere in mano la Parola di Dio: l’evangelista Luca, che ci accompagna in questo anno liturgico, chiarisce subito di aver messo per iscritto i fatti che riguardavano Gesù per trasmettere insegnamenti solidi, sicuri, ben fondati nell’esperienza singolarissima dei primi discepoli di Gesù, di coloro che hanno condiviso con Lui la vita e la strada, di coloro che sono stati testimoni dell’annuncio che abbiamo appena ascoltato.
Secondo la tradizione ebraica, Gesù si reca nella sinagoga di Nazareth e proclama, dopo averlo probabilmente scelto con cura, un passo del profeta Isaia:
«Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l’anno di grazia del Signore».
Una Parola che libera, che guarisce, che riempie di gioia: una Parola che – commenta Gesù – si compie oggi, nella Sua presenza, nella Sua persona. Una Parola che inaugura un tempo nuovo, l’anno di grazia del Signore: ascoltiamo questo brano in una delle prime domeniche dell’Anno Santo, dell’Anno Giubilare e questo ci rende ancora più attenti, ancora più recettivi, ancora più disponibili. La Parola di Dio non è una Parola che inganna, che svanisce, che può essere modificata o alterata a piacimento.
La Parola di Dio è, anzitutto, un dono: un dono che agisce, che si realizza piano piano, che si avvera. Il popolo di Israele, convocato davanti alla Porta delle Acque, ascolta la Parola che il sacerdote Esdra proclama quando è appena rientrato dal catastrofico esilio a Babilonia: il popolo d’Israele ha appena sperimentato che, nonostante le sue infedeltà, la promessa della liberazione, del ritorno a casa, è diventata realtà. Il cuore di questo popolo è colmo di commozione, di stupore, di gioia.
Anche noi, in questa Eucaristia, vogliamo ringraziare per il dono grande della Parola di Dio, che alimenta la nostra preghiera, che ci invita a camminare, che solleva il nostro sguardo e riempie il nostro cuore di speranza. Ma soprattutto, vogliamo, insieme, uscire di chiesa con il cuore colmo di gioia, di commozione, di festa: la Parola di Dio non è una promessa da marinaio. Proprio oggi si compie, ancora, per noi. Proprio oggi, ci libera, ci restituisce uno sguardo nuovo sulla realtà che stiamo attraversando, ci consola. Ci libera dall’oppressione delle nostre fatiche, dei nostri fallimenti, di quello che non va.
Non ci illude, ma ci apre davanti un cammino di ritorno alla nostra più vera identità: figli e figlie di Dio, in Gesù, nella Parola che si compie e si incarna. Che possono ascoltare la Sua Parola. Che possono rispondere. Che scoprono, giorno dopo giorno, di essere amati, di essere redenti. Di essere nel cuore di un Dio che non solo parla, ma agisce continuamente nella storia