Come promuovere il bene delle parrocchie? Fondando seminari. Come garantire la crescita della vita cristiana dei fedeli? Impegnandosi a preparare solidamente, sia culturalmente che spiritualmente, i futuri sacerdoti.
Queste erano le convinzioni profondamente radicate nei grandi protagonisti della riforma, che nella Chiesa francese seguì al concilio di Trento. Si noti bene che questi grandi innovatori giunsero a queste convinzioni non spremendosi le meningi nel chiuso di uno studio, ma in seguito all’esperienza pastorale sul campo. Il Seicento fu per la Francia veramente “le Gran Siècle” non solamente per la cultura, le arti e la politica, ma anche per la vivacità della vita della Chiesa.
Capostipite di questi grandi rinnovatori fu il cardinale Pierre de Bérulle (1575-1629) notevole maestro di teologia spirituale, sia per l’acume delle sue riflessioni che per la copiosità dei suoi scritti; tra i suoi discepoli si annoverano sia un santo come Vincenzo de Paoli, sia l’abbé de Saint-Cyran iniziatore del Giansenismo, movimento rigorista. Oltre che insigne teologo, de Bérulle fu anche un vulcano di novità pastorali per la Chiesa francese. I grandi apostoli del rinnovamento postconciliare della Chiesa francese furono tutti, per maggior o minor tempo, suoi discepoli; tutti, ad eccezione di san Vincenzo, furono scrittori notevoli di teologia spirituale, tanto che si parla di Scuola francese di Spiritualità; tutti si dedicarono alla predicazione diretta al popolo; ognuno di loro fondò una comunità di religiosi dedita a tale missione e a questa attività aggiunsero in seguito quella dell’organizzazione di seminari e insegnamento ai futuri sacerdoti.
Mi limito qui a menzionare due esempi. Innanzitutto Vincenzo de Paoli (1581-1660). Nato in una famiglia di contadini dei Pirenei, cercò il sacerdozio come via di emancipazione, come mezzo per emergere. Facendo carte false, nell’autentico senso della parola, riuscì a farsi ordinare prete a soli 19 anni; arrampicatore sociale, non ebbe nessuna remora a sgomitare per raggiungere cariche remunerative e soprattutto di prestigio, fino a diventare cappellano di Margherita di Valois, ex moglie del re Enrico IV. Una vicenda drammatica lo sconvolse e lo condusse a recuperare il senso del suo sacerdozio. In seguito, un secondo fatto assai significativo lo portò a scoprire la sua missione: dedicarsi interamente a catechizzare gli abitanti delle campagne, per far sì che passassero da una religiosità abitudinaria a una fede consapevole, soprattutto informata sui misteri della fede e sui mezzi della salvezza, quali il Vangelo e i sacramenti. Nel 1625 dà vita a una congregazione e per aver sede presso la chiesa parigina di Saint-Lazare, questi sacerdoti saran detti Lazzaristi. Si dedicano alla predicazione delle missioni popolari: laddove arrivano, Vincenzo e i suoi sacerdoti si fermano per più settimane facendo catechismo, illustrando ai fedeli l’importanza della confessione, della comunione frequente. Vincenzo però a un certo punto si interroga: come far sì che una volta terminate le cinque o sei settimane che durava la missione i frutti permanessero? L’unica garanzia è che nelle parrocchie si trovino sacerdoti ben formati. Ecco la nuova idea: il fulcro della rinascita delle parrocchie è garantire una solida formazione dottrinale e spirituale dei futuri sacerdoti. Così i Lazzaristi al primo compito ne aggiungono un secondo: fondare e dirigere seminari. L’educazione e l’insegnamento in seminario vien visto da san Vincenzo (come dagli altri grandi apostoli di questo periodo) come il fulcro decisivo della vita pastorale delle parrocchie. Nei seminari vincenziani il futuro sacerdote viene educato a conformarsi alla carità di Cristo, cosicché il prete deve avere come suo unico pensiero e scopo di vita la salvezza delle anime; Vincenzo raccomandava ripetutamente ai giovani che si preparavano a diventare preti: «non mi basta amare Dio, se il mio prossimo non lo ama».
L’altra figura sulla quale rapidamente mi soffermo è quella di Jean-Jacques Olier (1608-1657, nella foto): una vita breve, 49 anni, ma intensa. A ventun anni visse una prova interiore terribile simile a quella vissuta da grandi uomini di fede quali il cardinal Contarini, Lutero e san Francesco di Sales: la convinzione di essere destinato alla dannazione eterna. Uscito da questa crisi e divenuto sacerdote, si dedicò alla predicazione delle missioni popolari per passare poi nel 1642 a fondare un seminario presso la parrocchia parigina di Saint-Sulpice, di cui era da poco divenuto rettore. Fu così contemporaneamente formatore di sacerdoti e parroco della più grande parrocchia di Parigi. Diede vita a una comunità di sacerdoti diocesani, non una congregazione di religiosi, che dalla chiesa presso la quale operavano presero il nome di Sulpiziani. Essi furono destinati completamente all’insegnamento nei seminari che fondarono in molte diocesi francesi. Attualmente sono presenti in Francia e in Canada, ove hanno fondato la quasi totalità dei seminari di quella vasta nazione. Due a tutt’oggi le condizioni imprescindibili per poter entrare in questa comunità di sacerdoti: aver compiuto gli studi universitari con il conseguimento dei gradi accademici, necessari per insegnare, essere stati parroci per un significativo numero di anni. Questa comunità sacerdotale non è purtroppo presente in Italia.
Al termine di queste sei puntate che ho dedicato alla storia dei seminari, desidero da queste pagine esprimere tutta la mia gratitudine verso i sacerdoti che mi sono stati maestri nei miei undici anni di Seminario. Sono loro riconoscente per il sapere che mi hanno trasmesso, per gli insegnamenti di vita che mi hanno offerto e, non da ultimo, per la pazienza che hanno portato nei miei confronti, e non fu poca.
don Claudio Centa