Nella precedente puntata ho toccato un campo che permetterebbe di intrattenerci per tante e tante puntate: la carità femminile nella Chiesa. Una serie di circostanze mi ha indotto a dedicare alcune puntate ad una coraggiosa e pioneristica apostola della carità. Domenica prossima la Chiesa celebra la “Giornata mondiale del migrante e del rifugiato” istituita nel 1915. Questo fu il settore di elezione di una grande donna, che dedicò tutta la vita quale missionaria degli emigranti italiani negli USA, fondando per loro ospedali e orfanotrofi. Nell’autunno dello scorso anno negli Stati Uniti è uscito un film a lei dedicato, diretto dal regista Alejandro Monteverde; questo film sarà diffuso nelle sale italiane a partire dal prossimo mese di ottobre. Insomma sto parlando di santa Francesca Saverio Cabrini (1850-1917).
L’emigrazione fu un fenomeno massiccio nell’Italia ottocentesca, soprattutto nella seconda metà del secolo. Dal 1876 al 1914 emigrarono dall’Italia oltre 14 milioni di italiani. Si trattava di una massa umana di diseredati, che trovavano collocazione nell’affrontare i lavori più pesanti. Gli impieghi lavorativi in USA erano nelle miniere, tanto che ad un certo punto i minatori italiani superarono i minatori di tutte le altre nazionalità messi insieme. Gli emigranti italiani erano impegnati anche nel faticoso lavoro di sterramento per la costruzione di strade, nei cantieri navali, nelle industrie siderurgiche, nelle vaste piantagioni di cotone e di tabacco.
Gli emigranti italiani erano guardati con veri e propri pregiudizi razziali: negli Stati Uniti, tra i molti gruppi nazionali erano tra i meno considerati. Trovavano sistemazione in condizioni di profondo degrado: stipati in edifici fatiscenti, in condizioni igieniche precarie. Molto spesso l’abbrutimento fisico sfociava nell’abbrutimento morale. Mancavano delle più elementari strutture che li potessero accogliere e inserire nella società. Non avevano scuole, non avevano chiese, non centri di assistenza sanitaria. Nel 1879 un deputato lesse in parlamento la lettera di un emigrante veneto che suonava come un grido di aiuto: «Siamo come bestie: viviamo e moriamo senza preti, senza maestri, senza medici». Davanti a questa situazione i governi italiani rimasero praticamente con le mani in mano. La Chiesa americana a sua volta si trovava impreparata ad affrontare il nuovo campo di lavoro pastorale. Nella città di New York erano pochissimi i sacerdoti che conoscessero l’italiano ed in ogni caso gli stessi immigrati italiani erano in difficoltà ad usare la lingua del loro paese d’origine, dal momento che era loro familiare il dialetto, ma poco l’italiano. Legavano tra loro in gruppi regionali tra i quali non mancavano le rivalità; rivalità che venivano ad aggiungersi al disprezzo riservato da altri importanti gruppi nazionali, primi tra questi gli irlandesi. Non erano pochi i locali pubblici sul cui ingresso si poteva leggere la scritta: «Vietato ai negri e agli italiani». E di fatto questi ultimi erano considerati come degli schiavi bianchi.
È in questa situazione di degrado, di persone dimenticate, che si inserì l’attività pastorale e di promozione umana di Francesca Saverio Cabrini.
Francesca nacque a Sant’Angelo Lodigiano, in diocesi di Lodi, il 15 luglio 1850, ultima di 13 figli, la maggior parte morti in tenera età. Suo padre, Agostino, era un contadino benestante, chiamato dagli amici “cristianone” per la sua pietà fervente; era cugino del liberale Agostino Depretis, che divenne Primo Ministro. In famiglia Francesca ebbe una solida formazione cristiana: partecipazione alla Messa quotidiana, carità verso i poveri praticata con generosità, le conversazioni serali non vertevano su temi futili. Infatti furono i suoi genitori a sviluppare in lei una particolare sensibilità missionaria. Infatti molte sere il padre leggeva ai figli le notizie del periodico Annali della Propaganda della Fede, pubblicazione curata dal dicastero della curia romana che si occupava delle missioni. All’ascolto di quelle letture, Francesca cominciò a sognare di diventare missionaria in estremo Oriente, in particolare in Cina.
Nel 1872 Francesca conseguì il diploma di maestra; nel frattempo aveva perso entrambi i genitori, morti a breve distanza di tempo nel 1870. Per due anni si dedicò all’insegnamento nella scuola elementare. Nel 1874, seguendo il consiglio del suo direttore spirituale, entrò in una congregazione religiosa locale che si dedicava all’assistenza ed educazione di ragazzi orfani. Nel 1880 il vescovo di Lodi Domenico Maria Gelmini interveniva a sopprimere la congregazione religiosa e conoscendo bene la vera vocazione di Francesca la consigliò di fondare ella stessa una congregazione femminile, che si dedicasse all’attività missionaria. Una congregazione di suore missionarie era una rarità, che destava non poca meraviglia. Il 14 novembre 1880 con sette consorelle, che provenivano come lei dalla soppressa congregazione religiosa, diede vita all’Istituto delle Missionarie del Sacro Cuore di Gesù. Difese con fermezza la dicitura “Missionarie” che era così insolita per una Congregazione religiosa femminile. Nelle costituzioni, approvate da monsignor Gelmini, vescovo di Lodi, la Cabrini specificava lo scopo missionario dell’ordine: lavorare al bene delle anime sia nei paesi di tradizione cristiana sia tra i non cristiani senza limitare il raggio di azione delle opere, anche se queste dovevano concentrarsi soprattutto all’ambito educativo e all’attività parrocchiale.
don Claudio Centa
(1 – continua)