Benvenuti in Alpago
Nel nome delle donne, si è levato dall’Alpago uno sguardo sull’orizzonte internazionale. Ospite della parrocchia di Farra, la tradizionale Festa della comunicazione in montagna, organizzata dal settimanale diocesano “L’Amico del Popolo” in unità di intenti con il quotidiano “Avvenire”.
Nel salutare i presenti, il direttore Carlo Arrigoni ha ribadito che questa occasione è un modo per ringraziare i propagandisti del settimanale, che svolgono il prezioso servizio di raccolta degli abbonamenti. Anche il sindaco Alberto Peterle ha testimoniato come i suoi parenti, emigrati in Piemonte, seguano sul settimanale diocesano le avventure politiche del loro congiunto. Entrando nel tema dell’incontro, ha sottolineato come nemmeno i nostri territori siano esenti da episodi di violenza di genere. Per fortuna – ha concluso – ci sono molte persone che ascoltano e tra di loro ci sono anche i parroci.
Il parroco don Renzo Sperti, che fu fino al 2006 direttore dello stesso settimanale, ricorda che la storia dei nostri paesi andrebbe riscritta, considerando l’opera delle donne; una storia sottotraccia ma reale: nei tempi non lontani dell’emigrazione, erano loro a portare avanti la vita del paese.
Donne di pace
Quindi la parola è passata a Viviana Daloiso, che ha raccontato il suo lavoro nella redazione interni del quotidiano cattolico nazionale. Ha ammesso: «È un giornale ancora molto maschile, ma come donne abbiamo imparato a fare squadra», proponendoci di dare attenzione a tematiche femminili, come le disparità di genere e i femminicidi. Andando nei posti. Insieme a lei si sono schierate Lucia Capuzzi, spesso inviata in scenari di guerra, e Antonella Mariani, dedita soprattutto alle tematiche di famiglia.
Proprio l’8 marzo 2022 decisero di raccontare storie di donne. Era appena scoppiata la guerra in Ucraina e il tema era molto presente sui media; poi vennero le rivolte in Iran e anche queste non erano oscurate. «Nessuno però parlava dell’Afghanistan, dove i taleban, appena tornati al potere, avevano emarginato le donne dalla vita sociale. Dare voce a queste donne, che nessuno vedeva, divenne la nostra mission». Lucia aveva contatti in loco; poi vennero le interlocuzioni con le associazioni, le interviste online… Ne venne una serie di storie raccolte in un libro che ha fatto rumore: “Noi afghane. Voci di donne che resistono ai talebani”.
Ora le tre giornaliste stanno per portare in tipografia un nuovo e simile progetto, intitolato “Donne di pace” e dedicato a Vivien Silver, la pacifista israeliana uccisa durante l’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023. Il volume intende essere un endorcement al coraggioso messaggio lanciato da papa Francesco il 1° gennaio scorso: il mondo «ha bisogno di guardare alle madri e alle donne per trovare la pace, per uscire dalle spirali della violenza e dell’odio, e tornare ad avere sguardi umani e cuori che vedono».
Perché il mondo ha bisogno di uno sguardo di donna per fare la pace? Non è un’antifona ispirata da un femminismo di maniera. Le donne hanno uno sguardo diverso sui conflitti. Oggi nel mondo i conflitti vengono considerati solo come rapporti di forza, in uno stile “maschile”. I tavoli delle decisioni sono frequentati quasi esclusivamente da leaders maschi e, se anche donne ci sono, la logica prevalente è quella dei rapporti di forza. Le donne invece hanno un altro sguardo: quello della cooperazione, del saper rinunciare a un bene immediato in attesa di un bene più grande. È femminile l’arte del ricucire e mediare, di cercare una via mediana per una soluzione possibile. Nelle guerre in atto nessuno percorre questa via, mentre prevale la logica della supremazia, che vuole un vittorioso e uno sconfitto.
Quando le donne si sono affermate da un punto di vista politico? La giornalista ricorda sette donne, insignite del premio Nobel per la pace. Nel 2023 è stato assegnato a Narges Mohammadi, attivista iraniana accusata di “propaganda contro lo Stato”. Deve scontare altri 16 anni di carcere per la sua battaglia contro il velo obbligatorio e la pena di morte. A Oslo c’era una sedia vuota, perché Narges era in carcere; il premio è stato ritirato dai figli.
Solo due donne hanno potuto firmare trattati di pace: una è Monica McWilliams, di Belfast, l’unica donna ammessa ai negoziati che sarebbero culminati nello storico accordo di pace del 1998. L’altra è la ruandese Godeliève Mukasarasi. Ma anche in Italia sono state spesso le donne a ricucire le ferite, dopo gli anni del terrorismo o della lotta di mafia: un fulgido esempio è Gemma Capra, vedova del commissario Calabresi; un altro è Monica Marcone, figlia di un funzionario ucciso dalle cosche nel 1995 a Foggia che ha voluto incontrare gli assassini del padre e oggi è vicepresidente di Libera.
E come prima della Grande guerra 1915-18 ci furono donne che tentarono di fermare il conflitto, così oggi le donne vogliono pesare insieme ad altre associazioni ai tavoli della pace, facendo sentire la voce dal basso e supportando la voce di papa Francesco. Ne è nata una petizione, per chiedere all’UE di cambiare linea e cercare la pace.
Insieme alle pubblicazioni è nato un progetto per fare studiare online le ragazze dell’Afghanistan, altrimenti escluse dai talebani dai percorsi formativi. E ora in Medioriente il sostegno a “Nevè Shalòm”, l’unica scuola di Israele nella quale ebrei e palestinesi studiano insieme. Tutto è diventato più difficile dopo il 7 ottobre, ma per spiegare ai bambini che è possibile non odiare, è stato chiesto aiuto alle… mamme.
Sostenere lo sforzo del Papa
Sembra essere rimasto l’unico profeta che chiede pace e non armamenti, un Papa che parla una lingua che non è compresa neanche dai cattolici. Viviana riferisce l’emozione vissuta all’arena di Verona il 18 maggio scorso, durante l’affollato incontro “Giustizia e Pace si baceranno”. Anche le tre giornaliste di “Avvenire” hanno avuto spazio per una testimonianza. Ma il momento più emozionante lo hanno offerto Maoz e Aziz, due imprenditori provenienti rispettivamente da Israele e Palestina, ai quali la guerra ha strappato i familiari. Essi hanno condiviso la loro testimonianza: «Il nostro dolore ci ha riavvicinati per creare un futuro migliore». Le 12mila persone presenti nell’Arena hanno ascoltato in silenzio e poi si sono alzate in piedi per applaudire il gesto di fraternità fra loro e con il Papa, che ha abbracciato i due come un padre. Commenta la Daloiso: «Allora la pace è possibile. Si può fare con quello sguardo tipico delle donne. Quel giorno il Papa non si è sentito solo. Le parole cambiano il mondo. E chissà che non se ne accorgano anche i grandi».
E poi conclude, leggendo tratti del volume non ancora edito, nel quale confluiranno testimonianze già pubblicate da “Avvenire”. Una magistrata iraniana in esilio a Londra, le citate Monica McWilliams, Godeliève Mukasarasi e Daniela Marcone; l’attivista yazida Nadia Murad Basee, che vive in Germania dopo aver subito violenze, stupro e la schiavitù.
Il vescovo Renato
La conclusione è stata affidata al vescovo Renato, che ha espresso anzitutto riconoscenza a quanti collaborano alla diffusione del settimanale diocesano. Ma soprattutto ha sottolineato il clima emotivamente carico che Viviana aveva creato in sala. Gli ha ricordato la madre anziana che per anni aveva taciuto quanto aveva visto nei giorni del rastrellamento nazifascista sul Grappa, in cui erano stati uccisi 500 partigiani. Ma raggiunti i novant’anni ebbe bisogno di raccontare. «Lo sguardo di donna entra nel vissuto della guerra, nello strazio che la guerra lascia dietro di sé».
Davide Fiocco