Nella puntata precedente abbiam visto che i canonici di Belluno difesero con forza la loro prerogativa di nominare i due parroci della città e i sei curati del suburbio. È interessante rilevare che anche a Feltre l’organizzazione pastorale contava uguali numeri: due sacristi per la città e sei curati. Un vicario generale scaltro e un Capitolo meno combattivo a Feltre fecero sparire quell’unico preteso diritto di assegnazione di una parrocchia da parte dei canonici.
Al mattino del 29 novembre 1530, veniva portata al vicario generale Giovanni Battista Romagno la notizia che nella notte era morto il sacerdote Girolamo Vitella, curato di Rasai. Il vicario assegnò la curazia a Natale Moreo, precentore della cattedrale, vale a dire colui che organizzava la quotidiana liturgia corale e curava il canto liturgico. Moreo era assente a quella nomina tempestiva, fatta dal vicario generale alla presenza di due testimoni: il nobile Vittore Bellati, maestro in arti (filosofia), e Giovanni Pasio Facen, dottore in diritto. Un’ora dopo giunse innanzi al vicario generale il sacerdote Natale Moreo e il vicario lo investì del beneficio con il tipico gesto simbolico dell’imposizione del berretto ecclesiastico.
Lo stesso giorno il pubblico notaio Giovanni Zanettelli, cancelliere della curia, su incarico del vicario generale si recò a Rasai a immettere in possesso nella curazia Natale Moreo. La situazione che Zanetelli trovò e la vicenda che si svolse parrebbe il soggetto di una novella. Natale Moreo si era barricato entro la chiesa, avendo sprangato le due porte dell’edificio e ammassato su di esse delle panche. All’esterno vi era l’arcidiacono del Capitolo, Girolamo Damello, lì presente per immettere in possesso un altro sacerdote, Faustino Borgasio, eletto dal Capitolo. Il Capitolo dei canonici rivendicava quindi come proprio diritto l’assegnazione della curazia. Evidentemente Natale Moreo temeva che, se avesse avuto luogo la presa di possesso del candidato del Capitolo, sarebbe stata resa vana la sua nomina o comunque avrebbe dovuto difenderla con una causa legale.
La situazione era complicata: all’arcidiacono e all’eletto del Capitolo era impedito di entrare in chiesa a prendere possesso della curazia, ma anche al Moreo diventava impossibile prenderne possesso dal momento che colui che doveva immetterlo in carica era fuori della chiesa. Lo strepito aveva richiamato un numero ragguardevole di persone che, assiepatesi nel cimitero attorno alla chiesa e su un tratto della strada che passava (e passa tutt’oggi) davanti all’edificio sacro, guardavano sorprese la scena.
Natale Moreo chiamò il cancelliere a una finestra munita di grata e priva di alcuni vetri e gli fece questa proposta: delegare un giovane chierico, Giacomo de Angelina, a dargli il possesso, questo avrebbe potuto salire a una finestra senza grata sita in alto a mattina, frantumare i vetri e poi scendere all’interno su una scala a pioli che egli aveva portato dentro la chiesa. Tutti questi accordi vennero presi a bassa voce, per non farsi sentire dall’altro candidato alla carica, Faustino Borgasio, che controllava da vicino tutte quelle mosse. Il cancelliere Zanettelli fu d’accordo e diede delega verbale al chierico di sostituirlo nel proprio compito. Dalla finestra alla quale erano stati presi gli accordi, Zanettelli vide il chierico giunto sano e salvo entro la chiesa; a quel punto Natale Moreo gli gridò: «Ser Zuane tignì mente che Jacomo me dà el possesso, et scrivì».
Sentendo quelle parole, Borgasio si avventò sul cancelliere Zanettelli e lo agguantò: con una mano gli schermò gli occhi, affinché non potesse vedere, mentre con l’altra lo trascinava via dalla finestra dicendo: «No vederì zà questo, no poderì zà scriverlo». Per Borgasio era essenziale che il cancelliere non potesse esser testimone di quel che accadeva in chiesa, al fine di rendere invalida quella rocambolesca presa di possesso.
Nel frattempo Moreo dall’interno gridò altre tre volte, tanto per lui era essenziale: «Ser Zuane vedì et tignì mente, che Jacomo me dà el possesso e mi el toge, et noté». Lasciato infine da Borgasio, che doveva rendersi conto di dare un ben gramo spettacolo di sé alla gente di cui pretendeva di diventar curato, Zanetelli si avvicinò alla finestra alla quale si era abboccato con Moreo, posta alla destra dell’altare, e poté vedere che la presa di possesso era iniziata da poco, si era infatti al momento in cui il neo parroco sollevava e riponeva le tovaglie dell’altare.
È da notare la scrupolosa precisione con cui Zanetelli testimonia su quel che sa de visu, cioè per averlo visto personalmente, tanto che scrive che a un certo momento venne suonata la campana grande (parte integrante del rito di presa di possesso), ma di non aver visto chi dei due la suonava, essendo le corde delle campane fuori dall’angolo di visuale offertogli dalla finestra da cui guardava l’interno della chiesa, al che per necessaria deduzione concludeva fosse Natale Moreo a tirare la corda della campana, essendo egli a prender possesso della curazia. Svolti questi atti, Moreo aprì la porta principale, volta a settentrione, uscì dalla chiesa e disse ai suoi nuovi parrocchiani che tutti loro erano testimoni di quanto era accaduto e che lui era il nuovo titolare della chiesa di Rasai.
L’arcidiacono Girolamo Damello e l’eletto del Capitolo se ne tornarono quindi scornati a Feltre.
don Claudio Centa