Quinta domenica di quaresima

È più forte la morte o l’amore?

a cura di don Renato De Vido

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Una cornice molto bella dà anche risalto al quadro. La cornice di questo evento di resurrezione è un’amicizia profonda. Trasuda da tutto il racconto: dalla definizione del rapporto che correva tra Gesù e quei tre fratelli di Betania, dalle molte lacrime che vengono sinceramente versate da tutti senza distinzione, dai commenti dei discepoli e dei giudei. La carica umana dell’avvenimento è pienamente garantita, reso, così, più ricco e più intenso.

Nello stesso tempo, però, si scorge un’altra cornice, più velata e più eloquente: da parte di Gesù si sta anticipando quello che gli accadrà con la Pasqua. Anche lui passerà al vaglio della morte.

1. La prima domanda – e noi sappiamo per esperienza che non è vaga o accademica – sta dentro di noi, nel nostro cuore di persone toccate dai vari fatti di morte, dal lutto, dalle disgrazie: È più forte la morte o l’amore? Chi la spunta, la vittoria della non-vita o quella della vita? Ci sembra che il vangelo intrecci molto bene tutti e due i temi, che architetti il miracolo in modo che alla fine si dica: vince l’amore.

Se Gesù Cristo è l’amore fatto persona, se lui è l’edizione umana di ciò che prova Dio per l’uomo, indubbiamente ha il sopravvento su ogni evenienza. Non c’è da meravigliarsi che pianga, assieme a tutti gli amici di Lazzaro, perché il suo amico è morto; le sue lacrime non sono una farsa, perché effettivamente una perdita è una perdita. Sta lì a dire che Dio non ama la morte per se stessa, che la tollera e che la padroneggia con i suoi mezzi. In ogni caso, la morte, come la croce, continua a rimanere uno scandalo: sei di fronte a Dio che dice di amarti e che tuttavia sembra abbandonarti.

2. C’è, come cuore pulsante di tutto l’episodio, un annuncio che dovrebbe farci fremere ogni volta, anche se, invece, ci trova stanchi e apatici: «Io sono la resurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chi vive e crede in me non morrà in eterno». È il Signore che evangelizza la morte, cioè la presenta come un fatto “provvisorio”, non definitivo. Tutto ciò che definiamo provvisorio non dura all’infinito…

Nel cristianesimo è presentissima la morte, se pensiamo che l’Eucaristia è anche sacrificio, e il battesimo è «morire con lui», e la croce è il segno di una morte illustre. Ma non si può dire che è religione angosciante, perché prende l’uomo così com’è e lo lancia nel futuro dell’immortalità. Proviamo a soppesare nuovamente il condensato della fede che è il Credo: «credo la resurrezione della carne e la vita del mondo che verrà».

3. Il grido, l’ordine di Cristo al morto Lazzaro è un vero atto di signoria: «Vieni fuori». Anche questa è l’eco dell’atto creativo iniziale, quando Adamo viene svegliato dalla polvere per cominciare l’avventura di vivente; è l’eco di quell’ordine che conduce Abramo fuori della sua terra per cominciare a vivere da amico di Dio.

Quanti sepolcri tengono prigionieri il nostro cuore e le nostre vite! Quante volte la voce che ci intima di uscire arriva troppo flebile. Il risveglio dal torpore avviene per la potenza di Dio, se è efficace il suo ordine. Un morto non sente, eppure Gesù grida più per gli astanti che per il defunto: quel grido deve abbattere ogni barriera costruita nella storia.

«Non siete più sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi». San Paolo, fresco di conversione, ce lo ha detto oggi. Vita nuova, dunque. Voglia il Signore suggerire a ciascuno in cosa consiste.

don Renato De Vido