A cura don Andrea Canal (21ª domenica del tempo ordinario - Anno B)

Volete andarvene anche voi?

Scegliamo, altrimenti saranno altri a scegliere per noi; ma «da chi andremo? Signore, tu hai parole di vita eterna»

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«Le mogli siano sottomesse ai loro mariti»: quando viene letto questo passo della lettera agli Efesini, si sente un fremito nell’aria della chiesa. Ovviamente non piace alle donne presenti, che vorrebbero dirne quattro al buon Paolo; forse piace a qualche marito, che sospira… Ma dobbiamo rendere ragione a san Paolo. Perché se nelle sue parole c’è ancora un po’ del retaggio culturale di una cultura maschilista, nelle stesse parole c’è anche tutto il peso della novità cristiana: «voi, mariti, amate le vostre mogli, come anche Cristo ha amato la Chiesa». In una cultura come quella antica, che rendeva la donna proprietà del marito, Paolo scriveva questa parola che ha tutto il peso della rivoluzione. Anche se la cultura vigente sottoponeva la moglie al marito, la novità cristiana obbligava il marito ad amare la moglie come Cristo ha amato la Chiesa. Perché? Perché questo è un mistero, questa è la radice del sacramento: gli sposi si amino con lo stesso amore di Cristo. È un segno di alleanza.

Ma è un’alleanza anche quella raccontata dalla prima lettura, che ci porta a Sichem, dove c’era una stele, un masso erratico. Dopo l’esodo e i quarant’anni nel deserto, dopo il passaggio del fiume Giordano, il popolo conquistò un po’ alla volta la Palestina; ogni tribù si stanziò nel suo posto. Allora Giosuè, il successore di Mosè, li convocò a Sichem, per porre loro un aut-aut. Era luogo sacro fin dai tempi più remoti: lì Abramo aveva edificato un altare; lì il patriarca Giacobbe aveva sotterrato gli idoli portati dalla Mesopotamia. Sichem era il luogo delle scelte. Lì c’era quella grande pietra che, da allora, divenne il segno del patto stipulato. Giosuè cominciò a raccontare, in nome di Dio: «Io presi il padre vostro Abramo da oltre il fiume… Poi mandai Mosè e Aronne e colpii l’Egitto con prodigi… Se vi dispiace di servire il Signore, scegliete oggi chi volete servire…». Scegliete, altrimenti saranno altri a scegliere: allora i comodi rituali delle popolazioni Amorree; oggi gli amici, i colleghi, l’andazzo generale. Di fronte a Dio o fai una scelta o la subisci. Se però la subisci, non sei più libero. «Scegliete se volete servire gli dei che i vostri padri servirono… oppure gli dei degli Amorrei…»: gli idoli di ieri e di oggi. «Quanto a me e alla mia casa, vogliamo servire il Signore, che ha fatto uscire noi e i padri nostri dall’Egitto…». «Allora il popolo disse: “Lungi da noi l’abbandonare il Signore per servire altri dei!… noi serviremo il Signore, perché egli è il nostro Dio”».

Infine nel brano del vangelo anche Gesù pone una domanda ai dodici: «Volete andarvene anche voi?». La folla, dopo la moltiplicazione dei pani, seguiva con entusiasmo il maestro. Ma Gesù comincia a rilanciare: non cercate il panino che vi riempie la pancia, ma il pane della vita. Poi in una continua risacca, un continuo rilancio: non un pane del cielo che come la manna sfamava la fame di una giornata, ma per un pane che sfama la voglia di eternità. Ancora: questo pane è la mia carne, questo pane sono io. Spezzando il pane, vi parlavo della mia vita spezzata, donata, vita nella quale potete entrare anche voi. A questo punto gli ascoltatori sono in scacco: «Questa parola è troppo dura». E molti – come annota l’evangelista «tornarono indietro». Tra di essi, forse comincia anche la crisi di Giuda, colui che lo avrebbe tradito.

«Volete andarvene anche voi?». Gli risponde Pietro, l’uomo dal cuore generoso, capace di entusiasmo. In lui troviamo un fratello caro, così simile a noi negli slanci di entusiasmo, così simile a noi nelle cadute: tant’è che nella notte dell’abbandono, anche lui rinnegherà.

La domanda sconsolata di Gesù raggiunge anche noi oggi: «volete andarvene anche voi?». Ci lascia liberi: e fa bene che ce lo diciamo e ripetiamo: possiamo prendere la porta e andarcene… Qualche volta nella vita mi è venuta la voglia di seguire il figlio prodigo. Ma oggi mi guardo intorno in questa chiesa; e credo di non essere l’unico che, nonostante tutti i dubbi e i trambusti della vita, riprenderei le parole dell’amico Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna». Sono solo parole? Sì, sono parole, ma sono parole importanti, sono sincere. Perché, in ogni caso, sono parole che affidiamo al Signore: lui le accoglie, le prende e le vivifica: «È lo Spirito che dà la vita». Però, di fronte alla proposta cristiana, resta e deve restare il dilemma della libertà: volete andarvene anche voi? Potete andarvene… Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna.