Am 5,14-15.21-24; Sal 49; Mt 8,28-34
50 anni di ministero offrono uno sguardo ulteriore – in parte inedito e non scontato – sulla propria vita, sulle scelte compiute, sul mondo a cui apparteniamo e che è in noi, sulla chiamata al ministero presbiterale sul dono che esso è stato per noi e per la gente a cui siamo appartenuti. Di più: su Dio che non ci ha abbandonati, nella sua fedeltà d’amore, a volte anche raccogliendo e ricomponendo con nuova bellezza i nostri cocci. E poi c’è lui, il Signore Gesù che non ha finito di scombinarci la vita e di ricordarci che il mondo è più vasto del nostro io, che il regno di Dio eccede i nostri sogni, le nostre forze, le nostre intenzioni, i nostri ormoni, le nostre inadempienze e incapacità; eccede anche il nostro peccato.
Con 50 anni di ministero apprendiamo bene l’arte di scombinarci da parte dello Spirito del Cristo risorto a cui siamo stati affidati per compiere il nostro ministero.
Mi sembra di cogliere questo “ribaltamento” nel salmo 49 che abbiamo pregato.
Nella prima lettura, stamattina mi colpiva un inciso: «… come voi dite…». Come a dire che il profeta insinua che Dio sta pensando un’altra cosa…
Gesù ha parlato di ipocrisia…
Il Vangelo è ciò che non possiamo pretendere nel nostro ministero: Gesù è solo… di fronte al male, mentre dialoga con esso e lo ammansisce… Ecco la Pasqua!