Accoglierci e stare insieme nella competizione della vita

Omelia nella circostanza del Palio di Feltre
08-08-2021

1Re 19,4–8; Sl 33(34); Ef 4,30–5,2; Gv 6,41–51

Come un sussulto di gioia, accompagnato dalla consapevolezza che si possono vincere le competizioni sportive e le sfide olimpiche, il nostro Paese si è ritrovato fiducioso, integrato, aperto sul futuro, a motivo di giovani che hanno saputo affrontare la fatica e la continuità della preparazione, degli allenamenti, della scelta di coinvolgersi e di partecipare. Li abbiamo scoperti nella loro fisionomia multietnica, appartenenti a una storia – quella del nostro Paese – per ragioni di affetti, di elaborazione culturale, di trasparenza d’animo, di energia vitale, di capacità creativa: un’appartenenza non alterata dalle solite ideologie vecchie e stantie. Sì, possiamo ammettere che tutto questo ci ha molto sorpreso. A motivo di tanti giovani sportivi – oltre le 39 medaglie d’oro e una coppa – abbiamo potuto intravedere un orizzonte nuovo. L’eco di tutto questo ha ravvivato le nostre vie, i nostri quartieri, le nostre frazioni, le nostre comunità.

Guardo a questa possibilità di ripresa della manifestazione del Palio di Feltre come un riflesso di tutto questo: come un coraggio che unisce, che promuove, che solidarizza, che infonde fermenti di speranza.

Grazie a voi giovani, in particolare! Grazie anche a tutti coloro che vi sono a fianco – appartenenti a tutte le stagioni della vita – che hanno creduto e che stanno credendo nelle vostre potenzialità di presente e di futuro rigenerato. È pure un augurio rivolto alle istituzioni, alle nostre comunità ecclesiali, alle parrocchie che forse, cari giovani, in più circostanze vi hanno deluso… Invece il vostro sguardo ci piace, vorremmo allenarci con voi! Aiutateci, dateci fiducia, diamoci una mano…

Questi sentimenti frammentati di un pensiero che ha bisogno di riscaldarsi, di spingersi oltre le solite fatiche e oltre le noiose lamentale di cui siamo stracolmi, incontrano in questa celebrazione una parola nuova che riempie di spirito nuovo il nostro animo. L’abbiamo poco fa ascoltata nella seconda lettura che riporta alcuni passi della lettera di Paolo ai cristiani e cittadini di Efeso. Mi piacerebbe sostituire subito il nome di quella città, collocata sulle coste ad Est del Mediterraneo, con il nome della città di Feltre. Ed ecco quella parola: «Scompaiano da voi ogni asprezza, sdegno, ira, grida e maldicenze con ogni sorta di malignità. Siate invece benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato a voi».

Carissimi, nella competizione della vita noi tutti aspiriamo a questo modo di accoglierci e di stare insieme, per non eliminarci a vicenda. Lo state riscoprendo in questi giorni nelle manifestazioni del Palio. Ve lo auguro di cuore: Siate benevoli!

Posso confidarvi un pensiero più particolare con due accenti che si ispirano alla prima lettura e poi al Vangelo che abbiamo ascoltato.

Elia era un grande profeta. Cercava Dio. Abbiamo sentito che era anche lui sfiancato e scoraggiato. Attraverso l’angelo che gli offre da mangiare e lo invita a camminare, Dio si fa prossimo e lo incoraggia a non mollare e a ritrovare il gusto di una vita bella e buona che sa guardare con benevolenza alle situazioni della vita, anche a quelle più difficili che rischiano di farci diventare nemici gli uni degli altri. Dio non è un intrigo, ma è un incoraggiatore, un formidabile allenatore alla vita vera.

Ed ecco il secondo accento. Viene dal Vangelo. Gesù aveva apprezzato in più occasioni il prodotto più fragrante e più benefico che noi umani da sempre facciamo e di cui ci nutriamo: il pane. A Gesù piaceva tanto e ne era affascinato. Proprio per questo si azzarda a dire, in un momento critico in cui rischiava di essere travisato e respinto: «Io sono il pane vivo disceso dal cielo» e dice di volerlo dare da mangiare per vincere anche la morte. Abbiamo bisogno di questa capacità di vita, di questo lasciarsi affascinare da ciò che è bello, buono e fragrante. Gesù si dona come un pane buono di umanità, perché gustiamo anche la prossimità di Dio.