Chi sono e da dove vengono?

Omelia nella solennità dei santi Vittore e Corona – Feltre
14-05-2025

Ap 7,9-17; Sal 23(24); Rm 5,1-5; Gv 12,24-26

Domenica scorsa – IV di Pasqua – la parola di Gesù ci ha illuminato sulla verità più profonda e più determinante che portiamo in noi, sulla nostra pelle, in tutto il nostro vissuto e che inonda tutti inostri sentimenti, pensieri e affetti: «Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano» (Gv 10,28). Gesù si riferisce a coloro che lo seguono, i suoi discepoli. Li descrive con l’immagine delle pecore: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono» (Gv 10,27). Quando Gesù svela questo rapporto profondo di conoscenza reciproca, di ascolto vicendevole, di condivisione di vita, c’è un’accusa tremenda che grava su di lui. Alcuni Giudei, secondo l’evangelista Giovanni, dicevano di lui: «È indemoniato ed è fuori di sé, perché state ad ascoltarlo?» (Gv 10,20). Di fronte a questa insinuazione, Gesù dà questa spiegazione: «Ve l’ho detto e non credete; le opere che io compio nel nome del Padre mio, queste danno testimonianza di me. Ma voi non credete perché non fate parte delle mie pecore» (Gv 10,25-26).

Colpisce tantissimo questo vincolarsi di Gesù ai suoi discepoli. Ne parla come di un appartenersi intimo, profondo, che si estende a tutto il loro operato. Tutta la vita diventa manifestazione di questo amore vicendevole, nonostante l’ostilità e l’opposizione di alcuni.

Oggi siamo nel ricordo vivo e festoso di Vittore e di Corona, nostri patroni. Sono riconosciuti e venerati come martiri. Potremmo porci la stessa domanda che abbiamo ascoltato nella visione descritta nel libro dell’Apocalisse: «Questi, che sono vestiti di bianco, chi sono e da dove vengono?». Chi sono, dunque, Vittore e Corona e da dove vengono? Nella medesima visione uno degli anziani risponde: «Sono quelli che vengono dalla grande tribolazione e che hanno lavato le loro vesti rendendole candide nel sangue dell’Agnello» (cfr. Ap 7,9-17). C’è dunque in loro quell’intimità con Cristo rappresentabile dalla similitudine delle pecore che ascoltano la voce del pastore, lo conoscono e lo seguono. Vittore e Corona a noi mostrano questa relazione d’amore con Cristo che hanno seguito nel martirio. Vittore e Corona ci svelano come Gesù sia profondamente legato ai suoi discepoli fino ad appartenere a loro e a far trasparire nella loro vita il suo mistero di intimità con il Padre.

È importante la promessa che Gesù rivolge e destina ai discepoli: «Io do loro la vita eterna e non andranno perduti in eterno e nessuno li strapperà dalla mia mano» (Gv 10,28). Poi aggiunge: «Nessuno può strapparli dalla mano del Padre».

Nel vangelo appena proclamato, Gesù descrive un chicco di grano che cade in terra, dove muore, ma che, a seguito di questo, «produce molto frutto». Corrisponde a quel “perdere la propria vita in questo mondo”, mentre in realtà essa viene custodita per sfociare nella “vita eterna”.

Ecco la speranza che «non delude», come ci ha detto Paolo nella seconda lettura, radicata nella verità di quanto ha detto e vissuto Gesù: «L’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è dato» (Rm 5,5).

Ritroviamo in questa Parola i motivi del Giubileo di questo Anno Santo. Sollecitati dal ricordo vivissimo e riconoscente di papa Francesco che – diventato lui per primo “pellegrino di speranza” – ci ha sollecitati a camminare nella speranza. In questi giorni anche l’invito prorompente alla pace da parte di papa Leone, riprende e rilancia questa promessa e questa consegna di speranza.

Attorno a noi, ma anche nelle nostre stesse pieghe di vita, sentiamo un male che attacca e colpisce. Ci sono tante ferite che ci lacerano, troppa violenza che distrugge. Pensiamo alla piaga degli orribili femminicidi. È una dimensione della realtà che riconosciamo nel martirio di Vittore e Corona e in quel “cadere a terra e morire del chicco di grano” di cui parla Gesù.

Ma proprio per questo noi non possiamo perdere o sfumare o dimenticare la sua parola che sempre diventa creatrice nella nostra vita e in questo nostro mondo. La riprendo dall’Apocalisse: «L’Agnello […] sarà il loro pastore e li guiderà alle fonti della vita. E Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi» (Ap 7,17).

Dobbiamo aderire con il cuore a questa promessa. Come comunità cristiana attingiamo a questa fonte viva. Troppe parole divisive, di rabbia nascosta, di sospetti, di cattiverie permettiamo che circolino attorno a noi. A volte lasciamo che abitino il nostro cuore. Dobbiamo insieme lavarci da tutto questo che intacca la nostra umanità. Sono radici di guerra in noi.

Oggi Vittore e Corona, con il loro martirio, ci chiamano a condividere con loro solo ciò che dà speranza e che deriva dall’amore.

Da questa Eucaristia nasce un dono e una responsabilità per tutti noi: diventare pellegrini di questa speranza, da subito. Tutto attorno a noi, nei nostri ambienti di vita, necessita di parole di speranza, di sguardi di speranza, di gesti di speranza.