Is 52,13-53,12; Sal 30 (31); Eb 4,14-16; 5,7-9; Gv 18,1-19,42
«Egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori; e noi lo giudicavamo castigato, percosso da Dio e umiliato. Egli è stato trafitto per le nostre colpe, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti» (Is 53,4-5).
Ogni volta che ascoltiamo queste parole del “Quarto canto del Servo”, restiamo sbalorditi in una commozione che prende in profondità. L’autore ispirato – il profeta Isaia – sembra in queste espressioni svelare ciò che non vorremmo mai fosse vero nella vicenda umana: che i buoni sono sopraffatti dalle forze dell’ingiustizia e dell’empietà.
Nella commozione che la Liturgia di stasera suscita in noi, è possibile che rivisitiamo le scene più drammatiche del mondo di ieri e di oggi e scorgervi che alcune persone sono state castigate, percosse e umiliate al fine di travisare, manipolare, obliare e sopprimere il bene da loro cercato, atteso, predisposto e avviato. Sì, per davvero: “schiacciate per le nostre iniquità”!
Ma il profeta improvvisamente sovverte questa inumana situazione e ci svela che “per le loro piaghe noi siamo stati guariti”.
Da sempre all’intelligenza e alla strategia umana questa rivelazione profetica è assurda, ingiustificata, inaccettabile.
Ecco dove si colloca Gesù: in tale inspiegabile verità.
Forse per questo alla domanda di Pilato – «Che cos’è la verità?» – Gesù non ha dato risposta.
Oggi – venerdì santo – rimaniamo sospesi sulla verità della morte di Gesù. La Liturgia ci pone dinnanzi il segno della croce che rappresenta la condanna, l’ingiustizia, il castigo, la sofferenza atroce, l’empietà, ma poi anche – in modo paradossale – la guarigione, l’abbandono filiale, la salvezza, l’amore che dà tutto, il chicco di grano caduto in terra che muore per germogliare.
Seppure severa la Liturgia del Venerdì Santo, essa si fa custode di tale inspiegabile verità, ossia di un’empietà che non trova soddisfazione, che viene svilita e svuotata nel mistero rappresentato dalla croce di Gesù, dove Lui solo per qualche ora è rimasto sospeso tra terra e cielo. È un passaggio estremo, non conosciuto da noi umani che siamo nell’intento presuntuoso di sciogliere tutti gli enigmi della vita. Gesù morto, innalzato da terra e non ancora risalito nel cielo di Dio, manifesta la verità di quel passaggio dove l’amore, che dà tutto, genera salvezza, risurrezione, vita liberata e trasfigurata, cieli nuovi e terra nuova…
Solo in quel passaggio siamo salvati. Noi restiamo ancora al di qua di esso, eppure Lui il “Primogenito dei morti” lo ha attraversato e abitato: dunque, per Lui, con Lui, in Lui siamo salvi.
Isaia ci sta parlando, sta profetizzando per noi così come l’abbiamo ascoltato poco fa:
«Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce e si sazierà della sua conoscenza; il giusto mio servo giustificherà molti, egli si addosserà le loro iniquità. Perciò io gli darò in premio le moltitudini, dei potenti egli farà bottino, perché ha spogliato se stesso fino alla morte ed è stato annoverato fra gli empi, mentre egli portava il peccato di molti e intercedeva per i colpevoli» (Is 53,11-12)
Tutti noi ricordiamo le parole dell’apostolo Paolo a cui era stato rivelato il mistero di Cristo morto e risorto: «Sappiamo infatti che tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi. Non solo, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo. Nella speranza infatti siamo stati salvati» (Rm 8,22-24).
Questa sera siamo dinnanzi alla Croce di Cristo come “pellegrini di speranza”: lo siamo per noi e per l’umanità intera per la quale ora pregheremo avvicinandoci al mistero di quell’amore che dà tutto.