Is 62,1-5; Sl 95 (96); Gv 2,1-11
«Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui».
Questa nota dell’evangelista Giovanni ci dà ragione del perché in questa domenica, subito dopo la celebrazione dell’Epifania e del Battesimo del Signore, è stata raccontata la partecipazione di Gesù ad una festa di nozze insieme a sua madre e ai suoi discepoli. È «l’inizio dei segni compiuti da Gesù». Egli così avrebbe manifestato «la sua gloria». L’evangelista poi, sorprendendoci, ci informa che «i suoi discepoli credettero in lui».
Subito dopo il racconto di queste nozze, l’evangelista narra una salita di Gesù a Gerusalemme, dove egli, nel tempio, compie un ulteriore segno: vi scaccia i mercanti e i cambiamonete dicendo: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere» (Gv 2,19). In poche righe l’evangelista manifesta l’inizio dei segni compiuti da Gesù e annuncia l’ora finale della sua Pasqua.
La presenza e la partecipazione di sua madre, agli inizi dell’attività di Gesù come poi al suo compimento nell’ora della croce, ci aiuta a vivere nella fede questa “festa del voto” e a riconoscere in Maria colei che difende i discepoli, il loro credere in Gesù, il loro stare con lui.
La madre di Gesù assume nel racconto delle nozze di Cana una missione decisiva. È lei ad avvertire Gesù che qualcosa non va in quella festa di nozze: «Non hanno più vino». Donna e madre lei coglie una situazione di crisi, di mancanza, di caduta di stile, di incidente di percorso. Se ne fa carico e si esibisce con il figlio Gesù. Questo tratto di Maria – tipicamente femminile e materno – sembra rappresentare il significato profondo di quella festa di nozze e della partecipazione di Gesù a quell’evento iniziale. Ma, poi, l’evangelista, ci mostrerà la madre di Gesù ai piedi della croce accanto al discepolo amato, quasi a portare lì ciò che manca alla nostra umanità quando ad essa sono sottratte la gioia della vita, la credibilità e la persistenza dell’amore: «Non hanno più vino». La madre di Gesù sa raccogliere ciò che si è infranto e dà voce al nostro bisogno di essere aiutati, guariti, salvati. Questa sua maternità soccorre la nostra fraternità svuotata, devitalizzata, rinnegata.
Quella spada posta nelle mani di Maria, le è stata imposta dalla nostra incapacità a corrispondere alla bellezza, alla bontà, alla verità della vita. Quella spada svela che senza la cura dell’amore la vita è simile ad una festa di nozze dove viene a mancare il vino.
In questi giorni abbiamo tremendamente sofferto la visione di un mondo mancante di amore. La tregua a cui si è pervenuti in Medio Oriente ci lascia tutti ancora smarriti e bisognosi dello sguardo benevolo della madre di Gesù che ancora ripete: «Non hanno più vino». Si saprà riconsegnare amore a questa umanità lacerata?
Noi oggi dobbiamo guardare a Maria come colei che tiene viva ancora l’antica profezia di Isaia: «Nessuno ti chiamerà più Abbandonata, né la tua terra sarà più detta Devastata, ma sarai chiamata Mia Gioia e la tua terra Sposata, perché il Signore troverà in te la sua delizia e la tua terra avrà uno sposo» (Is 62,4).
Maria, che oggi noi veneriamo, è la madre che difende i suoi figli e figlie dall’aver smarrito e abbandonato l’amore. Lei ci coinvolge nel suo affetto di cura e nella sua azione generativa. Maria incarna un’umanità che una logica di potere – spesso di sapore maschilista – ha silenziato. In realtà lei ha conosciuto il valore del vivere; si è immersa con fiducia e coraggio in un’umanità da salvare; e, nonostante l’assurdità dell’odio scaricato sul suo figlio, ha sostenuto un sogno di fraternità a cui votarsi: «Per amore di Sion non tacerò, per amore di Gerusalemme non mi concederò riposo, finché non sorga come aurora la sua giustizia e la sua salvezza non risplenda come lampada».
I giorni “olimpici” che si prospettano per la Comunità di Cortina d’Ampezzo saranno giorni complessi, intriganti, impegnativi. Che non venga meno – come nella festa di nozze di Cana – il vino dell’amore; il vino della fraternità; il vino di uno sport che nobilita, che non umilia, che non si presta a mille strumentalizzazioni; il vino della trasparenza politica, economica, finanziaria; il vino di una sobrietà che non discrimina; il vino della cura dell’ambiente; il vino della speranza e della pace. Si parlerà ovunque di voi…
Consideriamo e mettiamo in pratica quanto detto da Paolo alla comunità di Corinto: «A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per il bene comune».