Is 61,1-3a; Sal 89 (88); Rm 12,3-13; Mt 25,31-40
Nel preparare questa celebrazione e nel tentativo di immaginare la figura di Martino di Tours, mi scorreva dinnanzi il volto dei 32 giovani adolescenti con i quali ieri pomeriggio abbiamo celebrato la loro cresima. Sorprendente il loro sorriso, misto a un certo pudore per la loro esposizione pubblica e a un che di emozione. Mi chiedevo che cosa stavano percependo dell’unzione che facevo sulla loro fronte con il crisma profumato. Ho pensato che chiedessero e cercassero una carezza d’amore e – come abbiamo ascoltato dalla prima lettura del profeta Isaia – «olio di letizia invece dell’abito da lutto», «una corona invece della cenere […] veste di lode invece di uno spirito mesto».
La preghiera di colletta, poco fa pronunciata, diceva a riguardo della vita e della morte di Martino: «o Dio […] rinnova nei nostri cuori le meraviglie della tua grazia, perché né morte né vita ci possano separare dal tuo amore». Sì, è proprio così: come starci nella vita se ci sentiamo o scopriamo senza amore, separati da un po’ di amore che sia rassicurante, attraente, affidabile? Se scendiamo in profondità di noi stessi percepiamo che siamo affamati e assetati di amore, magari con brividi di paura che ci sia sottratto o che finisca. Riusciamo, poi, a riconoscere che abbiamo bisogno, come dice Isaia, di «fasciare le piaghe dei [nostri] cuori spezzati».
L’affetto e la fede di tante generazioni che ci hanno preceduto ci consegnano un profilo d’amore del nostro patrono San Martino. Fu un giovane intraprendente destinato a una carriera pubblica e militare che gli avrebbe dato l’ebbrezza del successo. Nel bel mezzo di questo suo protendersi verso il futuro, Martino si fa cercatore di altro, anche lui mèndica un amore più grande, si fa “catecumeno”, si lascia accompagnare e istruire per conoscere e sperimentare il «lieto annuncio» che libera e che consola. Oramai è un simbolo universale il suo gesto di condivisione del suo mantello, indice della sua dignità e di una vita da ricollocare e da liberare dalla triste condizione di essere estranea all’amore. Ciò che conta è davvero che «né morte né vita ci possano separare dall’amore».
Nelle scorse settimane parecchie nostre comunità hanno attraversato momenti di smarrimento e di dolore. Quando la morte spezza delle vite relativamente giovani – è successo a ritmo serrato sia in montagna sia per altri incidenti, sia per malattia – allora è la vita di tutti noi a essere scossa, a scoprirsi ferita e piagata. Attorno a questi eventi si diventa particolarmente prossimi gli uni gli altri, si sente la necessità di stringere un patto di vicendevole incoraggiamento, ci si promette una vicinanza che possa «fasciare le piaghe dei cuori spezzati».
Io immagino che San Martino rappresenti per tutti noi una parabola umanissima di cura vicendevole, di sguardo premuroso, di braccio e mano tesi a spezzare istinti di chiusura e di indifferenza, tesi, invece, a sostenere insieme una liberazione dall’individualismo imperante che ci circonda. Questa parabola di umanità rappresentata da San Martino è così raccontata da Paolo nella sua lettera ai Romani che abbiamo ascoltato: «La carità non sia ipocrita: detestate il male, attaccatevi al bene; amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda». È la sfida più necessaria per tutti noi, per la nostra popolazione, per tutte le comunità delle Dolomiti: «Gareggiate nello stimarvi a vicenda». A volte proprio latitando in questo, siamo noi stessi a lasciare che il male ci attacchi e che le logiche di morte distruggano i nostri rapporti. Occorre decisamente abbandonare linguaggi violenti che delegittimano qualsiasi controparte, come troppo spesso succede nel dibattito pubblico anche politico e – non lo escludo: anche nell’ambiente ecclesiale – in particolare quando qualcuno o qualche gruppuscolo si arrocca sulle sue presunte verità per tacciare gli altri di falsità. «Gareggiate nello stimarvi a vicenda».
La parabola di Gesù trasmessa dall’evangelista Matteo ci affida un sogno, un progetto, una promessa e un patto d’amore da cui non essere mai separati e sul quale neanche la morte può avere potere. Gesù nella sua umanità ci ha svelato che il mistero di Dio è avvicinabile, sperimentabile, solo nei frammenti d’amore, nelle parabole umanissime delle nostre storie. Egli ci sollecita sempre e ovunque a imparare e praticare la cura della vita: «Una corona invece della cenere, olio di letizia invece dell’abito da lutto, veste di lode invece di uno spirito mesto».
Dunque: «Gareggiate nello stimarvi a vicenda»!