Il principe della pace

Omelia nella Notte del Natale del Signore
24-12-2024

Isaia 9,1-6; Sal 95 (96); Tito 2,11-14; Luca 2,1-14

«Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio. Sulle sue spalle è il potere e il suo nome sarà: Consigliere mirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace. Grande sarà il suo potere e la pace non avrà fine» (Is 9,5-6a).

Il profeta Isaia è una voce che viene da lontano per noi. Attraversa circa 28 secoli. Siamo nell’VIII secolo prima di Cristo: tempo come oggi di trame tra i popoli del mondo allora conosciuto, che originarono invasioni e guerre. Isaia aveva rappresentato lo scenario delle guerre di allora come “giogo” che opprime il popolo, come “sbarra” che grava sulle sue spalle, come “bastone” di un aguzzino.

Ogni giorno entrano nelle nostre case le cronache di interminabili azioni di guerra che stanno dilaniano il nostro mondo. Ovunque dove vi è un focolaio di guerra è la promessa stessa di Dio, inscritta nella sua opera creatrice, ad essere dimenticata e rimossa. Negarla è far tornare le tenebre sulle nostre terre, sulle nostre vite, sulle nostre comunità, sul mondo.

Oggi come ieri, «un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio» da cui attendiamo la forza e la persistenza della pace. Secondo il profeta Isaia questo figlio porta il nome di «Principe della pace» e riguarda immediatamente Ezechia, figlio di Acaz re di Giuda. Ma tale evento apre una speranza che giunge fino ai giorni in cui Maria dà alla luce Gesù, l’Emmanuele.

Non dimentichiamo quanto Gesù, all’inizio del suo ministero, rivelerà a Nicodemo nel cuore di quella notte in cui lo incontra: «Dio […] ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito», perché il mondo fosse «salvato per mezzo di lui» (cfr. Gv 3,16-17).

Ecco dove la celebrazione di questo Natale ci colloca: siamo come allora un popolo che cammina nelle tenebre che, però, intravede «una grande luce» nel segno del bambino che «è nato per noi», nel figlio che «ci è stato dato».

La seconda lettera di Paolo a Tito, ascoltata nella seconda lettura, ci invita «a rinnegare l’empietà e i desideri mondani», poiché «è apparsa la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti».

Per davvero, dobbiamo farci “cercatori di salvezza”. Tutto di noi ha bisogno di essere salvato. Questo è il desiderio più sano che possiamo nutrire, l’attesa più viva che può rinnovarci e cambiarci nel profondo. In questi giorni ci siamo persi dietro a tante cose, anche a tanti regali forse, in un turbine di evasioni che ci vengono propinate… Celebrare il Natale è un bene più profondo, un anelito più grande, una sete più essenziale: è cercare salvezza.

Guardiamoci sinceramente in volto: scopriremo i tratti di umanità che attende di essere salvata. Ognuno di noi ha bisogno di questo, prima di ogni altra cosa. È il terreno di incontro che ci accomuna. È la possibilità di una fraternità a cui votarci. Questo ci aiuterà a immetterci sulla via della pace.

È anche la prospettiva del Giubileo, inaugurato in questa sera con l’apertura della “Porta Santa”. La via della pace – ci avverte papa Francesco – è diventare “pellegrini di speranza”. Ma la speranza si radica in quel bambino che ci è stato dato per salvarci: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un salvatore» (Lc 2,12).

Come disse Isaia: «Su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse».

In questa notte, auguri di luce a tutti voi!