Sir 38,34b. 39,1-10; dal Sal 8; Lc 8,16-21
Con il Pelmo d’Oro tenuto tra le mani e appoggiato al petto, poco meno di due mesi fa – sabato 27 luglio – il volto di don Sergio appariva luminoso come non mai. Le parole di Gesù riportate poco fa nel versetto dell’Alleluia lo motivano: «Risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro». Lieve e con un senso di incertezza a rappresentare la finezza d’animo che lo invadeva, don Sergio era dolcemente imbarazzato come colto di sorpresa. Ci colpiva la sua contentezza. In un qualche modo egli sul palco cercava appoggio. Le parole da lui pronunciate erano semplici e arrivavano dirette al cuore. Il suo fu un grazie limpido e spontaneo che egli volgeva innanzitutto al «Padre vostro» – come lo chiama Gesù – ma poi anche alla sua gente, ai tanti amici e amiche, colleghi e colleghe di studio e di ricerca, alle sue montagne…
Le parole con cui veniva motivato il riconoscimento sembrava che lo stupissero: «Uomo enciclopedico, fine ed appassionato linguista, poliglotta, con le sue iniziative fra le quali non si possono non menzionare l’autorevole periodico “Dolomiti”, la fondazione e direzione dell’Istituto Bellunese di Ricerche Sociali e Culturali con cui ha pubblicato diverse centinaia di volumi…».
Fu un singolare ministero quello che don Sergio ha inventato, a cui ha dato corpo in terra bellunese. Ogni sollecitazione culturale apriva nella sua mente una breccia di ricerca. Avanzava ipotesi, proponeva collegamenti ulteriori, sondava ogni possibilità di significati, rendeva attualissimo ogni frammento di passato. La sua passione di sapere non si arrendeva mai. Affinché la luce risplenda, accostiamo tutto questo a quanto abbiamo ascoltato dal libro del Siracide (cap. 39): «Egli ricerca la sapienza di tutti gli antichi e si dedica allo studio delle profezie. Conserva i detti degli uomini famosi e penetra le sottigliezze delle parabole, ricerca il senso recondito dei proverbi e si occupa degli enigmi».
Altro tratto di questa ricchezza di umanità: «Viaggia in terre di popoli stranieri, sperimentando il bene e il male in mezzo agli uomini». Don Sergio ha trasmesso questa sapienza, ben altro dallo sfoggio di tante conoscenze e dal vanto di possedere la verità. Il Siracide sembra anche tratteggiare l’interiorità di cui tante persone hanno potuto godere nell’avvicinare questo prete comeliano: «Gli sta a cuore alzarsi di buon mattino per il Signore, che lo ha creato; davanti all’Altissimo fa la sua supplica, apre la sua bocca alla preghiera e implora per i suoi peccati».
Nelle ultime settimane don Sergio alternava momenti di assopimento a momenti in cui riprendeva vitalità. Colpiva la sua serenità interiore. Se gli chiedevi come stava, sorrideva e diceva: «Bene». Uscivi dall’incontro con lui rasserenato e ammirato.
Le parole di Gesù che abbiamo ascoltato ci infondono fiducia: «Nessuno accende una lampada e la copre con un vaso o la mette sotto un letto, ma la pone su un candelabro, perché chi entra veda la luce». Siamo inondati troppo spesso da ombre e da oscurità che ci tolgono la limpidezza delle belle e buone cose. Rischiamo di non percepire la lucentezza del bene. In noi il Risorto ha già acceso una lampada, che Egli non intende coprire o nascondere. Gli preme farla risplendere. La cultura poliedrica, a cui si è votato don Sergio, portava questa luce del Risorto. Anche lo stupore del salmista è riconoscibile nell’instancabile e genetica propensione intellettuale di don Sergio: «Quando vedo i tuoi cieli, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai fissato, che cosa è mai l’uomo perché di lui ti ricordi, il figlio dell’uomo, perché te ne curi?». E noi scorgiamo in questa sua singolarissima meraviglia, il dono della fede, mai ostentato, con cui don Sergio ha inteso corrispondere al dono della vita e alla chiamata al ministero. Come non ricordare qui il fratello don Claudio, imprevedibile nella sua vivacità di fede e di ministero? La nostra Chiesa di Belluno-Feltre ha accolto riconoscente l’originale manifestazione di luce della sapienza di Dio testimoniata da questi fratelli.
Siamo qui sorpresi anche per quanto avviene nel Vangelo proclamato poco fa. Gesù guarda in profondità, scopre l’opera di Dio in ciascuno e fa sì che essa venga in piena luce. Si guarda intorno, fissa il volto di ognuno e dice: «Mia madre e miei fratelli sono questi: coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica».