La tua legge è nel mio intimo

Omelia nelle esequie di don Enrico Zasio - Concattedrale di Feltre
28-03-2025

Os 14,2-10; dal Sal 80; Mc 12,28-34

«Allora ho detto: “Ecco, io vengo. Nel rotolo del libro di me è scritto di fare la tua volontà: mio Dio questo io desidero; la tua legge è nel mio intimo”». È la preghiera del salmo 39 della Liturgia di martedì scorso, solennità dell’Annunciazione del Signore. Nell’intimo di don Enrico era un germoglio vivo. La preghiera racconta la vita intera di un uomo, di un prete. Così è avvenuto per don Enrico che accanto all’«Ecco […]: avvenga per me secondo la tua parola» pronunziato da Maria, ha lievemente posto il suo “eccomi”. Soltanto qualche ora prima di portare a compimento il lungo viaggio di vita – 95 anni! – don Enrico – assieme a padre Pio che gli aveva fatto visita – pregava l’Ave Maria, incidendo definitivamente nel suo intimo il saluto dell’angelo a Maria.

Ci piace immaginarlo in quella scena ora, mentre celebriamo questa Eucaristia come definitiva consacrazione della sua vita e del suo ministero. Fu lui stesso un angelo che, mite e disponibile, si è posto accanto a una scia di popolo in questo territorio feltrino dove ha svolto l’interezza dei 72 anni di ministero. Angelo discreto e fedele, si è posto accanto ai seminaristi nei primi 10 anni di ministero, poi come parroco. Sorprendente per noi il suo lungo tirocinio di “buon samaritano” vissuto nell’ospedale Santa Maria del Prato a Feltre: 30 anni per noi inimmaginabili di fedeltà quotidiana a quanti il Signore ha fatto a lui conoscere, avvicinare, consolare, sfiorare con la Parola di vita, ungere con l’olio di guarigione spirituale.

Le parole del profeta Osea, appena ascoltate, ci evocano il dono che, attraverso la persona e il ministero di don Enrico, il Signore ha elargito: «Io li guarirò […]. Sarò come rugiada per Israele; fiorirà come un giglio e metterà radici come un albero del Libano, si spanderanno i suoi germogli e avrà la bellezza dell’olivo e la fragranza del Libano. Ritorneranno a sedersi alla mia ombra» (Os 14,5-8). Don Enrico sapeva riconoscere l’opera salvifica del Signore. Se n’è fatto portatore. La viveva. Gli anni sereni e fiduciosi trascorsi a Pedavena nella casa di ospitalità “Padre Kolbe”, in paziente e gentile fraternità, sono il racconto di una stagione di vita pacificata, di un ministero vissuto come affidamento totale al Signore. Quanto Gesù ha risposto allo scriba del racconto evangelico di oggi che gli chiedeva quale fosse «il primo di tutti i comandamenti» è anche la parola custodita nell’intimo dei pensieri, dei sentimenti, della preghiera di don Enrico: «Il Signore nostro Dio è l’unico Signore; amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza […]. Amerai il tuo prossimo come te stesso».

Negli ultimi mesi don Enrico aveva perso parte della vista. Il suo volto non ha mai smesso, però, di riflettere quella limpidezza e naturalezza che portava in animo. Era consapevole di essere, tra i nostri preti, il più anziano. Più volte mi aveva detto: «Ne sento la responsabilità. Li porto tutti sulle mie spalle».

Era una responsabilità di affetto che nutriva e di premurosa preghiera che non è mai venuta meno.

Nella cappella della Casa aveva il posto fisso alla sinistra di chi presiede. Durante la celebrazione della Messa era sempre lui il primo concelebrante a proclamare, nella preghiera eucaristica, il ricordo e l’intercessione per la Chiesa. Con voce baritonale e suadente lo si sentiva: «Ricordati, Padre, della tua Chiesa diffusa su tutta la terra: rendila perfetta nell’amore…». Anche quando non poteva più leggere, immancabilmente e a memoria, ci teneva a dare voce a quel «Ricordati, Padre, della tua Chiesa», così come ha sempre svolto il servizio di intonazione dei canti.

Caro don Enrico, continua nella Casa del Padre a portare sulle tue spalle la preghiera per la Chiesa di cui sei stato fedele servitore e a sostenere dalla Liturgia del cielo il nostro canto di lode.