Non lavoriamo per il Signore? Non lavoriamo per la Chiesa?

Omelia nella memoria del beato Giovanni Paolo I, Canale d’Agordo
26-08-2024

Is 61,1-3a; Sal 88 (89); Mt 23,8-12

«È un amore edificato per sempre». Abbiamo pregato così nel salmo responsoriale. Sono oramai trascorsi due anni dal giorno eccezionale della beatificazione del nostro “don Albino”. È iniziato un tempo in cui, per tutti noi, la sua santità, riconosciuta dalla Chiesa, si intreccia con l’ordinarietà della vita delle nostre comunità. Non freme più l’attesa che nutrivamo prima della sua beatificazione. È diventato “pane quotidiano” il dono che il Signore ci ha fatto. Possiamo riaffermarlo: «È un amore edificato per sempre». Tale espressione biblica sostiene ed amplifica quanto abbiamo manifestato nella preghiera di colletta – «saperci amati di intramontabile amore» – ispirati dallo stesso Giovanni Paolo I.

Sono stati illuminanti per noi i pensieri espressi da Papa Francesco nella celebrazione di beatificazione, il 4 settembre 2022, quando ha inteso tratteggiare lo “stile di Dio”, evidentemente riconoscibile nella vita e nel ministero di Albino Luciani. Papa Francesco ci faceva notare che è Gesù nel Vangelo a mostrare lo “stile di Dio”: «Egli non strumentalizza i nostri bisogni, non usa mai le nostre debolezze per accrescere sé stesso. A Lui, che non vuole sedurci con l’inganno e non vuole distribuire gioie a buon mercato, non interessano le folle oceaniche. Non ha il culto dei numeri, non cerca il consenso, non è un idolatra del successo personale». Il Papa poi ci avvertiva che questo deve diventare «lo stile del discepolo e della Chiesa». Per cui seguire Gesù «non significa entrare in una corte o partecipare a un corteo trionfale, e nemmeno ricevere un’assicurazione sulla vita. Al contrario, significa anche “portare la croce” (Lc 14,27): come Lui, farsi carico dei pesi propri e dei pesi degli altri, fare della vita un dono, non un possesso, spenderla imitando l’amore generoso e misericordioso che Egli ha per noi». Oltre queste parole, mi sembra che sia la santità riconosciuta dalla Chiesa in Giovanni Paolo I a sollecitarci e a iniziarci a “imparare l’amore” che nella sua sorgente divina è “intramontabile”, “edificato per sempre”. Noi non siamo devoti di altro, devoti di miracoli, devoti di successo individuale, devoti di contare le nostre forze o ricchezze per valere sugli altri, devoti di avere un “nostro” Dio. Siamo qui umilmente devoti di “imparare l’amore”. Ecco l’umile santità riversata su noi dal beato Giovanni Paolo I!

Sembra che don Albino anche per la nostra Chiesa di Belluno-Feltre si faccia premuroso suggerendole di “imparare l’amore”, mentre si riscopre “amata di intramontabile amore” da parte di Dio.

È il sogno di Chiesa che ha perseguito il beato Giovanni Paolo I e che – immaginiamo – intenda consegnare a noi. Sono ancora le parole di Francesco a dare colore a questo “sogno di Chiesa”: «Con il sorriso Papa Luciani è riuscito a trasmettere la bontà del Signore. È bella una Chiesa con il volto lieto, il volto sereno, il volto sorridente, una Chiesa che non chiude mai le porte, che non inasprisce i cuori, che non si lamenta e non cova risentimento, non è arrabbiata, non è insofferente, non si presenta in modo arcigno, non soffre di nostalgie del passato cadendo nell’indietrismo». Vi confido che questo “amore da imparare” e questo “sogno di Chiesa” che promana dalla santità di Giovanni Paolo I è ciò che, mi pare, debba animare il nostro cammino sinodale, la fraterna sollecitudine con cui affrontare il futuro di questa nostra Chiesa, la fedeltà con cui seguire ancora il Signore Gesù, radicandoci nel suo Vangelo. Se consideriamo il volto delle nostre comunità – di quella di Canale e di tutte le altre – attraverso la santità di Giovanni Paolo I, non possiamo che curare e promuovere i tratti di un volto non risentito per ciò che ha perduto, non arrabbiato con i tempi che corrono, ma libero e disponibile, limpido e semplice, gioioso e fraterno. Occorre per questo aiutarsi molto, abbandonando rivendicazioni di privilegi che impediscono di scrutare un orizzonte comune, superando supremazie identitarie che non ci permettono di aprire strade nuove su cui inoltrarci insieme.

Vorrei ricordare qui uno dei momenti che più mi hanno colpito dei 33 giorni da papa di Albino Luciani. Si riferisce al 5 settembre 1978: papa Giovanni Paolo I incontrava le delegazioni non cattoliche, che due giorni prima avevano presenziato alla celebrazione di inizio del pontificato. Durante l’incontro improvvisamente morì Nikodim, metropolita di Leningrado e Novgorod, che era la seconda autorità del patriarcato di Mosca. Il Papa lo ricordò commosso ai preti della diocesi di Roma: «Due giorni fa è morto tra le mie braccia il metropolita Nikodim di Leningrado. Io stavo parlandogli, rispondendo al suo indirizzo. Vi assicuro, che mai in vita mia avevo sentito parole così belle per la Chiesa […] Io credo che abbia sofferto molto per la Chiesa».

Ne sentiamo l’attualità, per ciò che stiamo vivendo in Europa e dunque nei rapporti tra Chiese. Tutto questo ci testimonia lo sguardo profetico di Giovanni Paolo I e trasmette a tutti noi e alle nostre comunità l’impegno per portare avanti il sogno di Giovanni Paolo I: «Vi assicuro, che mai in vita mia avevo sentito parole così belle per la Chiesa». Le aveva apprese da un fratello della Chiesa ortodossa russa.

Ai preti della diocesi di Roma a cui raccontava questo fatto egli pose questa domanda: «Ma non lavoriamo per il Signore? Non lavoriamo per la Chiesa?».

Ci resti nel cuore e lo sia nel cuore della nostra Chiesa di Belluno-Feltre questa duplice domanda!