At 10,34a.37-43; Sl 117(118) ; Col 3,1-4; Lc 24,13-35
Siamo ormai al tramonto di questo “primo giorno della settimana”. Il tempo con i suoi movimenti e la sua composizione non è mai “neutro”. Ogni momento esprime dei significati. Luca usa questa espressione: «Ed ecco, in quello stesso giorno» e si riferisce all’inizio del racconto che abbiamo ascoltato nella Veglia pasquale: «Il primo giorno della settimana, al mattino presto esse si recarono al sepolcro, portando con sé gli aromi che avevano preparato». Dice questo a riguardo delle «donne che erano venute con Gesù dalla Galilea» (Lc 23,55). Nella versione originaria in greco è detto: “l’uno dei sabati”. Per alcuni studiosi sarebbe anche un richiamo alla creazione. Si può pensare che Luca usi tale espressione enigmatica per dire: «Quel giorno, quello della risurrezione, non è stato un giorno qualunque. Qualcosa di nuovo è iniziato; qualcosa di così grande come la creazione, anzi di più: l’inizio di un’epoca nuova, che va al di là della scansione abituale del tempo» (Carlo Broccardo, Vangelo di Luca, p. 240).
Anche l’indicazione di luogo – Emmaus a 11 Km da Gerusalemme – è di difficile identificazione. Ciò che conta è rilevare che i due discepoli di cui si parla si sono già allontanati dalla Città Santa.
Questi due dati ci fanno sentire la vicenda molto vicina a noi. Sembra passato un tempo significativo dopo ciò che le donne avevano trovato in quel primo mattino: il sepolcro vuoto dove era stato deposto il corpo di Gesù. Sì, possiamo essere noi a trovare il sepolcro vuoto oggi, in questo tempo, nel contesto di cambiamento d’epoca che tutti percepiamo con il disorientamento che ciò comporta. Che è di quei “fatti dell’inizio” per noi oggi? Alle donne che non trovarono il corpo di Gesù, si erano presentati due uomini «in abito sfolgorante» dicendo: «Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui, è risorto».
È possibile anche ai discepoli, che erano stati con Gesù per un tempo significativo, non cogliere quel sorprendente annuncio e allontanarsi da esso. È amara la constatazione di uno dei due discepoli del racconto appena ascoltato, Cleopa: «Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele; con tutto ciò, sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; si sono recate al mattino alla tomba e, non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. Alcuni dei nostri sono andati alla tomba e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l’hanno visto».
Di fatto anche noi non l’abbiamo visto, oggi!
Ma cosa avviene ai due discepoli che se ne tornano a casa delusi e confusi? Già al mattino alle donne era stato detto: «Ricordatevi come vi parlò quando era ancora in Galilea e diceva: “Bisogna che il Figlio dell’uomo sia consegnato in mano ai peccatori, sia crocifisso e risorga il terzo giorno”».
Quel pellegrino, che rimprovera i due discepoli di essere «stolti e lenti di cuore», ricorda loro una parola detta e scritta, una promessa che avrebbero dovuto tenere viva nel cuore: «E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui». Poco dopo si susseguono due scene davvero commoventi e significative. I due discepoli si aprono all’accoglienza di quel pellegrino, lo invitano, anzi insistono: «Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto». La seconda scena avviene attorno alla tavola quando quel pellegrino «prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro». A ciò segue che il pellegrino li lascia nel momento in cui «si aprirono loro gli occhi» e si dicono l’un l’altro: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?». Ed ecco il loro ripartire, il loro riprendere la strada da discepoli che hanno aperto il loro cuore, che hanno raccolto in loro la grande promessa: «Non è qui, è risorto».
L’evangelista Luca ci aiuta oggi, dopo 2000 anni di annuncio della risurrezione, a non chiuderci nelle nostre lamentele, nelle nostre delusioni, negli smacchi della vita e della storia, nella nostalgia del passato, nella sfiducia che lascia che il male imperversi, nell’indifferenza e nell’insofferenza che moltiplicano le ingiustizie nei pensieri, negli affetti, nel nostro operare…
L’evangelista ci aiuta a leggere la fede pasquale alla luce dell’esperienza eucaristica che qui ora stiamo condividendo: l’ascolto della Parola – Vangelo che annuncia il senso della morte e della risurrezione di Gesù – e la mensa dove spezziamo lo stesso pane e ci dissetiamo al calice della salvezza, come lui ha fatto, sono l’esperienza del Risorto che oggi ci è donato di fare, aprendo vie di risurrezione, finché egli venga.