Ap 7,2-4.9-14; Sl 23(24); 1Gv 3,1-3; Mt 5,1-12a
«Rallegriamoci tutti nel Signore, in questa solennità di tutti i Santi». La nostra celebrazione, nel Messale, si apre con queste parole. L’invito è ineccepibile: si tratta di liberare la nostra possibilità di gioia e di vita. Questa solennità di tutti i Santi ci permette di assumere lo sguardo adeguato anche sul ricordo dei nostri cari che ci hanno preceduto, sul commemorare tutti i defunti. Questa celebrazione forma e plasma il nostro vivere, non è un ornamento giustapposto, un “di più” appeso alle nostre vite. E, allora, questa solenne celebrazione che precede la commemorazione dei defunti ci dona anche la visione autentica sulla dura realtà della morte, liberandoci dalle paure che il morire risveglia in noi, tutte le volte in cui essa ci appare come l’ultimo e supremo sgambetto della vita e un tradimento dei nostri desideri e delle nostre attese. San Paolo, con altre parole, dice che la morte è l’ultimo nemico che si deve annientare. Dunque: «Rallegriamoci tutti nel Signore, in questa solennità di tutti i Santi».
Oggi appare nel nostro celebrare un oceano di amicizia che ci sorprende e ci affascina. Non siamo soliti percepire l’enorme carica di bene e l’ampia riserva di affetto rappresentate da quella «moltitudine immensa che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua» a cui si fa riferimento nel racconto dell’Apocalisse appena proclamato. Poiché sembra che il male ci attanagli da ogni parte. La tempesta di notizie a cui siamo continuamente esposti e sottoposti ci disegna quotidianamente un orizzonte buio e spaventoso. In questi giorni anche certi fenomeni naturali, se non prudentemente allertati, aumentano l’esposizione al rischio e al pericolo. E, poi, il fuoco della guerra che non viene estinto e sembra riaccendersi imperterrito.
Di fronte a tutto questo oggi in questa solennità di tutti i Santi e le Sante siamo ribaltati come umanità e posti in una dimensione “altra”, traghettati nell’altra sponda lungo cui scorre la nostra esistenza. Questo cambio di posizione è evocato dalla descrizione fatta dall’evangelista Matteo: «Vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli». Questa collocazione “altra” è “contro-tendente” rispetto a quello che sembra prevalere in questo nostro mondo. Essa si ispira alla Parola di Dio che abbiamo ascoltato, in particolare alle beatitudini di Gesù ed è simbolicamente messa davanti agli occhi del nostro cuore dalla solennità odierna: è un’immensità di bene da cui non siamo sottratti e a cui, invece, siamo profondamenti legati. La Liturgia chiama tutti i Santi: “fratelli e amici, sorelle e amiche”. Gesù qualifica tutto questo come “beatitudine”. Oggi si apre davanti a noi una visione nuova che si radica nel cuore della nostra fede e che, nella seconda lettura, l’apostolo Giovanni ci prospetta così: «Vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente!». Noi non siamo da un’altra parte rispetto a questo “oceano di amicizia”. È ancora l’apostolo Giovanni a suggerire come ritrovare la nostra collocazione, il nostro esserci in questa riserva grandiosa di bene: «Chiunque ha questa speranza in lui, purifica se stesso, come egli è puro». Si riferisce a una “purezza” a cui tutti ci teniamo: quella di una vita bella, autentica, non barattata, sincera, libera, condivisa, capace di gioire e di familiarizzare con la felicità, dedita al dono, appassionata di bene.
La solennità odierna ci porta su questo versante della vita, ci incoraggia e ci sostiene: ci offre in dono una moltitudine immensa di amici e amiche, fratelli e sorelle. Avere questa speranza, accogliere e considerare così il nostro vivere, andare a scoprirlo nei suoi segni più umili e nel suo esile germogliare, ci purifica «come egli è puro» e ci immette in tale sua purezza. Vorrei evidenziare tre prospettive di cammino, di responsabilità, di aiuto vicendevole, di affetto per il nostro mondo e di fiducia nel Signore risorto che ci ha dischiuso tutto questo.
Dalla preghiera di colletta fatta all’inizio ricavo tre prospettive su cui camminare e inoltrarci con speranza:
- «La gioia di celebrare in un’unica festa […] tutti i santi». Siamo tutti in questa festa, chiamati a essa.
- «La comune intercessione di tanti nostri fratelli e sorelle». Nessuno può più ritenersi solo o abbandonato o messo da parte.
- «L’abbondanza della tua misericordia». Dio è abbondante, non meschino, è sorprendente in amore.
Mi viene da dire con l’apostolo Giovanni: «Lo siamo realmente!».