Una stella, per cui provare gioia e nutrire speranza

Omelia nella solennità dell’Epifania – Cattedrale di Belluno
06-01-2025

Is 60,1-6; Sal 71(72); Ef 3,2-3a.5-6; Mt 2,1-12

All’origine del nostro celebrare vi sono dei racconti che sono diventati per noi “Vangelo”. Nella celebrazione del Natale è stato soprattutto il Vangelo di Luca a farci entrare in una storia dove siamo diventati anche noi attori. Questi racconti sono anche la nostra storia. Ci hanno colpito e affascinato la figura di Maria, la madre di Gesù, che «custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore» (Lc 2,19); i pastori che raggiunti dall’angelo, mentre vegliavano il gregge, si mettono in cammino per vedere il segno loro indicato: «Troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia» (Lc 2,12). Potremmo porci una domanda: a noi che cosa è successo? Il quarto Vangelo ci ha aiutato a scoprire che noi siamo nel Natale di quel figlio nato da Maria: «A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, 13i quali, non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati» (Gv 1,12-13). Per quel Figlio, venuto a questo mondo, dato alla luce da Maria, noi tutti siamo diventati figli di Dio, generati da Lui.

Oggi, nel celebrare l’epifania (la manifestazione) del Figlio di Dio, ecco che cosa diventa manifesto anche in noi: «Per rivelazione mi è stato fatto conoscere il mistero. […] Esso non è stato manifestato agli uomini delle precedenti generazioni come ora è stato rivelato ai suoi santi apostoli e profeti per mezzo dello Spirito: che le genti sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo» (Ef 3,2-6).

Il racconto odierno dell’evangelista Matteo ci inserisce in una storia altrettanto affascinante che narra di noi come se fossimo lontani e tuttavia nella condizione di poterci avvicinare, di intraprendere una ricerca, di cercare luce e senso, di scoprire un significato per cui operare e a cui dedicarci, di giungere poi a riconoscere qualcosa che ci fa riprendere il cammino della vita, magari per un’altra via, liberi da condizionamenti che la nostra stessa ricerca ci ha imposto e da possibili ricatti che ne conseguono. La storia di quegli alcuni Magi, che «vennero da oriente a Gerusalemme e dicevano: “Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo» (Mt 2,1-2), è anche la nostra storia.

In questi giorni, a seguito dell’apertura del Giubileo, si è acceso un dibattito non solo nel contesto ecclesiale, riportato anche dai mezzi di comunicazione, rimbalzato nei social, segno di un’inquietudine e di una ricerca diffuse ovunque.  Farci “pellegrini di speranza” è l’appello del Giubileo, ma ci si chiede – ecco la questione! – in cosa possiamo sperare? Il cristianesimo ha ancora la possibilità di far sperare le persone? La Chiesa è ancora portatrice di speranza? La società a quale speranza può attingere? A chi affidarci in questo mondo attraversato da barbarie, da logiche di guerra, da forze che umiliano il nostro potenziale umano?

Oggi il racconto evangelico è come una stella, per cui provare gioia e nutrire speranza. Sì, noi tutti – ciascuno secondo la propria situazione e indole – siamo quei Magi che si sentono lontani, ma che anche colgono il desiderio seminato in loro per cui non si fermano, ma si mettono in cammino. Nessuno può sopprimere il desiderio che hanno nel cuore. È straordinario cosa ci svela il Vangelo: ognuno di loro, ognuno di noi – tanto più camminando insieme e sostenendoci – abbiamo tutti un po’ di oro ossia ciò che abbiamo raccolto tra le nostre povere mani, un po’ di incenso ossia il profumo del nostro voler bene, un po’ di mirra ossia ciò che sappiamo sacrificare di noi stessi spendendo la vita per l’altro. Ecco in che cosa sperare: che un altro intraprenda il suo cammino e si faccia fratello o sorella che attende il nostro dono e che, a sua volta, possa scambiare con noi il suo oro, il suo incenso, la sua mirra.