30.ma domenica del tempo ordinario - Anno A

Il grande comandamento

a cura di un parroco di montagna

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«Qual è il grande comandamento?». Per cominciare, non pensiamo al comandamento come una pietra che cade dal cielo e sfracella le persone! La parola usata non è Legge (comandamento-legge, cioè nomos in greco), ma entolè che vuol dire “parola da vivere”, parola saggia di cui merita far esperienza. Infatti la prima parola è “amerai” … non “devi!”. Amerai è parola che dà motivazioni, dà futuro, dà senso alla vita.

I maestri della Legge al tempo di Gesù davano una precettistica di 613 comandamenti. Di qui la domanda dei farisei: Qual è il più grande, il più importante? Insomma, da dove si deve cominciare? La domanda era fatta a Gesù per sentire la sua opinione e classificarlo nel dibattito in voga. Non era di per sé una domanda maliziosa.

Gesù cita due testi biblici: «Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, unico è il Signore. Tu amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze. Questi precetti che oggi ti do, ti stiano fissi nel cuore. Li ripeterai ai tuoi figli, ne parlerai quando ti troverai in casa tua, quando camminerai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai» (Dt 6,4-7). E l’altro: «8Non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo, ma amerai il tuo prossimo come te stesso» (Lv 19,18).

I due passi dell’AT erano al centro della spiritualità ebraica, specialmente il primo che veniva recitato mattina e sera – come noi con il Padre nostro – ricamato sulle maniche dei vestiti per ricordarselo, scritto sugli stipiti delle porte. Gesù si mostra nuovo e originale nei confronti delle opinioni correnti.

Per Gesù, amare Dio e il prossimo non è la parola di vita da mettere in testa all’elenco e neppure la più importante: per Gesù essa è il centro che permea e ravviva tutte le regole e le usanze. Ogni altro precetto, ogni osservanza, dev’essere espressione di questo duplice amore, se vuol presentarsi come adempimento della volontà divina. Ogni cosa si faccia dev’essere espressione di questo duplice amore.

Altra originalità e novità di Gesù: rende universale l’idea di prossimo. L’ebraismo, specie al tempo di Gesù, diceva che prossimo è il correligionario, tutt’al più il simpatizzante, ma non di sicuro lo straniero o il pagano. Per Gesù, invece, il prossimo è chiunque, anche lo straniero, anche lo sconosciuto. Prossimo è chiunque è amato da Dio, cioè tutti. La tentazione di delimitare l’idea di prossimo è continua, la tentazione cioè di fare una classifica come se alcuni contassero di più e altri niente.

La novità maggiore di Gesù è nell’aver congiunto i due comandamenti. È nella capacità di tenerli uniti che si misura la vera fede. Ci sono due tendenze dello spirito umano, e queste sono anche le tendenze che si contendono l’anima cristiana: quella che accentua il primato di Dio (e quindi la preghiera, il rapporto con lui, la conversione interiore e personale) e la tendenza che, in nome di Dio, attua l’attenzione sull’uomo (e quindi la giustizia, la lotta per un mondo più giusto…). Il Vangelo vuole che le due tendenze si uniscano.

Gesù ha detto di amare il prossimo come sé stessi e dunque occorre impegnarsi per il bene dell’uomo e la sua crescita. Ma nella generosa lotta per la liberazione dell’uomo occorre affermare il primato di Dio, che dev’essere amato con tutta l’anima e occupare in noi il primo posto. Tanto è vero che l’amore di Dio è calcolato senza misura (con tutto il cuore), l’amore del prossimo no (come sé stesso).