La celebrazione è stata trasmessa in diretta TV e streaming

La solennità dei santi martiri Vittore e Corona nel 2020

Il sindaco Perenzin ha offerto il tradizionale cero votivo a nome della città di Feltre

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Quest’anno, la solennità dei Martiri Vittore e Corona, Patroni di Feltre e, assieme a San Martino, della diocesi di Belluno-Feltre, si è svolta con modalità inusuali a causa della pandemia in corso, che impedisce assembramenti di persone. I pellegrinaggi ci sono stati, ma di poche persone, ben distanziate, provenienti comunque da tutto il Feltrino: da Lamon, Pedavena, Seren, Feltre e Santa Giustina. In tutta la giornata è continuato l’afflusso ordinato dei fedeli, per i quali era stato predisposto un percorso apposito, a senso unico, con accesso all’arca dei Martiri. Nella settimana precedente, ogni sera un gruppo di giovani aveva anche provveduto al tradizionale suono del “campanò”, a cui lo storico rettore don Giulio Gaio teneva tanto.

L’unica celebrazione pubblica solenne alle 10.30 è stata presieduta dal vescovo Renato Marangoni. Come concelebranti c’erano il vicario generale don Graziano Dalla Caneva, il rettore del Santuario don Sergio Dalla Rosa, il segretario del vescovo don Roberto De Nardin, che ha curato il canto, e don Alex Vascellari, che ha fatto il cerimoniere. Erano presenti anche l’organista professor Claudio Caretta e il sindaco Stefano Perenzin, che ha offerto il tradizionale cero votivo a nome della città di Feltre.

Nella sua omelia il Vescovo ha ricordato i Martiri come due giovani che restano ancora punto di riferimento per la gioventù e per tutti i fedeli. Con riferimento al brano evangelico scelto, che parlava del chicco di grano, che, caduto in terra muore, ma porta frutto, il presule ha concluso: «Da una caduta in terra che appare come una disfatta e che porta morte può prorompere un’energia di eternità, di sorprendente fioritura, di maturazione in abbondanza di frutti». Ha quindi voluto ricordare anche una ricorrenza voluta dall’Alto Comitato per la Fratellanza umana, che ha scelto il 14 maggio come giornata in cui chiamare a raccolta i credenti di tutte le fedi per chiedere il dono della guarigione da questa pandemia, ma ha ricordato che «ora di fronte a noi non c’è solo una sanità da ottenere, un’economia da riattivare, una logica finanziaria da ristabilire, un’immagine socio-culturale da salvare… ma c’è la vita nel suo affascinante mistero di dono e di responsabilità, di mutua accoglienza e cura, di libertà donata, di fratellanza umana, di vicendevole riconciliazione, di sobrietà e condivisione, di apertura al Trascendente…».

Prima di concludere ha voluto invitare tutti a pregare per due coniugi anziani incontrati poco prima della Messa, venuti a San Vittore per ricordare i sessant’anni di matrimonio e ha fatto cenno all’omelia mattutina di papa Francesco, che «ricordava le tante pandemie che mettono in condizione di privazione, sofferenza e morte troppi nostri fratelli e sorelle», in particolare i 3.700.000 persone – bambini, adulti e anziani – morti di fame nei primi quattro mesi di quest’anno.

don Sergio Dalla Rosa