Quinta domenica di Pasqua

Pietre per una costruzione spirituale

a cura di don Renato De Vido

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I due apostoli che stanno parlando con Gesù, e che sembrano porgli delle domande provocatorie o ingenue, ci rappresentano benissimo. Siamo noi che, sovente, lasciamo affiorare questi dubbi di fede, o meglio dubbi “sulla qualità della fede”.

Noi, più che applicarci all’ascolto del Signore che parla ancora abbastanza chiaramente, inseguiamo la nostra problematica religiosa. Tipo: ma se tutte le religioni hanno del buono in se stesse, perché dedicarci solo a quella di Cristo? Se ogni uomo deve seguire principalmente la coscienza, che bisogno c’è di regole comunitarie, di comandamenti, di disposizioni ecclesiastiche?

1. Anzitutto riscopriamo la “funzione” di Gesù rispetto a ogni uomo che vuole fare un percorso serio. La franchezza che adotta nel replicare agli apostoli è veramente a 360 gradi! Gli atteggiamenti e le idee sul suo conto sono innumerevoli come gli uomini che si confrontano con lui: si va dall’indifferenza più assoluta all’adesione più convinta, dal semplice interesse alla vera sequela, dal rigetto del suo stesso nome all’attaccamento anche affettivo alla sua persona. Non a caso l’amore a Cristo ha prodotto i martiri, cioè i testimoni più avanzati e più decisi.

Quella risposta offerta a Tommaso può benissimo riassumere tutto il “caso-Gesù”: «io sono la via, la verità e la vita». Senza di lui, si sbanda. Dico semplicemente: si è privi di segnaletica ogni volta che si vuole fare strada “a prescindere” da lui.

2. Nel secondo brano di oggi siamo stati definiti «pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale». Senza di noi l’edificio del Signore non può avanzare, il tempio della sua gloria resta incompiuto. Il cristiano che crede, e che opera secondo tale convinzione non ha bisogno di mendicare altrove le ragioni dell’esistenza. E’ appagato di appartenere ad un progetto che ha Dio come architetto e Cristo come pietra angolare. Ebbene, ne riceviamo luce per la nostra identità.

Di più: il cristiano ha il suo posto, la sua funzione, la sua vocazione, il suo lavoro da fare per il Regno di Dio: «nella casa del Padre mio vi sono molti posti». Lo avevano subito applicato le prime comunità cristiane che stavano per affrontare le nuove emergenze; anziché perdersi in discussioni, hanno saputo creare delle figure – i famosi primi diaconi – che fronteggiavano sia le esigenze della carità concreta che quelle dell’annuncio evangelico. Appartenere a Cristo in senso vero, non può lasciare inerti.

3. Il modello non è tramontato, e andrebbe benissimo anche per la nostra situazione attuale. Comunità, paesi, diocesi, parrocchie, gruppi: per grazia di Dio, nel nostro ambiente si sono fatte conoscere e si sono affermate tante forme di corresponsabilità; chi lo desidera, può trovare posto.

Chi ha a cuore la Chiesa «corpo di Cristo», può interrogarsi utilmente se per caso non debba esporsi di più e mettersi a disposizione. Alcuni Santi che godono di una certa popolarità – cito solo padre Pio da Pietrelcina e San Giovanni Bosco – riuscivano a far emergere degli ottimi collaboratori dove meno ci si aspettava. Forse avevano dalla loro una speciale capacità intuitiva che traduceva nel concreto quanto detto da Gesù: “Nella casa del Padre mio ci sono tanti spazi grandi come dimore”.

Se fossimo animati più frequentemente da queste certezze, quanto meglio si impiegherebbe la vita, e quanta più comunitarietà sapremmo sviluppare!

Il bello sta qui: possiamo cominciare subito.