At 10,34a.37-43; Sl 117(118) ; Col 3,1-4; Gv 20,1-9
Questa donna “sola”, smarrita, che sembra aggrapparsi ad una estrema possibilità – recarsi al sepolcro di mattino, quando era ancora buio – raccoglie tante situazioni della nostra vita. La figura femminile di Maria di Magdala permette a tutti di riconoscersi quando si è ancora nell’oscurità per una persona amata, un progetto a cui ci si era votati con ogni energia, un sogno di felicità, una meta agognata… strappati via, ingiustamente negati.
Maria lo dice: ciò che cercava è «portato via».
Si tratta di colui che lei chiama “il Signore” e che l’evangelista con una nota molto personale – se non addirittura autobiografica – chiama “Gesù”, descrivendolo in un rapporto di stretta amicizia con uno dei discepoli – «quello che Gesù amava» – probabilmente lo stesso evangelista.
È in gioco qualcuno a cui si è legati con tutto se stessi e per la vita. Comprendiamo dal racconto che ci sono legami d’amore e dunque è in questione la felicità delle persone.
L’evangelista poi ci dirà, nel succedersi dei fatti, che Maria di Magdala ritornò a quel sepolcro e stette lì accanto a piangere.
Penso che questo smarrimento ci tocchi da vicino e indichi i passaggi della nostra fede oltre che i luoghi e le esperienze della nostra vita.
La prima nostra ricerca di Dio avviene così. Il desiderio che abbiamo di amore spesso scaturisce da situazioni che ci hanno lacerato interiormente.
L’annuncio di Gesù risorto riguarda da vicino queste situazioni di oscurità. Anzi si avvicina all’inaudito della risurrezione di Gesù chi cerca nel buio come Maria di Magdala, chi è ancora esitante e ha paura come i discepoli, chi «non ha ancora compreso la Scrittura» come commenta l’evangelista.
Questo racconto che abbiamo appena proclamato – e di cui conosciamo il proseguo, tutto concentrato sull’incontro di Maria di Magdala con il Risorto che confonde con il custode del giardino dove stava il sepolcro di Gesù – ha un’insistenza particolare sui rapporti personali instaurati dai discepoli con Gesù. Maria di Magdala lo cerca disperatamente, è angosciata perché l’hanno portato via, raggiunge gli altri e comunica il suo dolore, corre di nuovo al sepolcro e si accovaccia lì piangente. Comprendiamo l’amore che lei nutre, perché aveva ricevuto da Gesù qualcosa di profondo che le aveva toccato la vita fino a orientarla a lui.
Non solo l’evangelista ci offre un’altra nota che ci colpisce. Solo di quell’altro discepolo che l’evangelista definisce «quello che Gesù amava» è detto che «vide e credette», dopo di essere giunto per primo al sepolcro, anticipando Pietro.
Questa insistenza sull’amore che diventa il luogo dove avviene la fede, in cui è possibile cercare davvero e fare esperienza del Risorto ci colpisce molto. È per noi la chiamata a risorgere dai morti che ci rivolge il Cristo risuscitato. Questo amore che si fa fede e questa fede che non può non attuarsi se non nell’amore, ci permette di rimetterci in cammino come dirà a Maria di Magdala il Risorto: Va’ dai miei fratelli…
Il segno “misterioso” della «pietra tolta dal sepolcro»…
- Il sepolcro è spalancato, vuoto e aperto: è uscita di là l’alba di un giorno nuovo…
- È aperto come il guscio di un seme
- «Il sepolcro vuoto vuol dire che nella storia umana manca un corpo per chiudere in pareggio il conto degli uccisi. Una tomba è vuota: manca un corpo alla contabilità della morte, i suoi conti sono in perdita. Manca un corpo al bilancio della violenza, il suo bilancio è negativo» (Ermes Ronchi).