A cura di don Sandro De Gasperi (1ª domenica di Quaresima - anno C)

La tentazione e la libertà

Gesù smaschera abilmente le insidie e i tranelli: noi non siamo altrettanto bravi

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Prendete un bicchiere dalla vostra dispensa; con una caraffa graduata, prendete dal rubinetto 7,5 cl di acqua e mettetela nel bicchiere. Che cosa avrete davanti? Un bicchiere mezzo pieno, potrebbe affermare l’ottimista di famiglia; un bicchiere mezzo vuoto, potrebbe commentare chi ha avuto una giornata storta. Dal punto di vista scientifico, però, avrete davanti la stessa, identica quantità di acqua: la realtà cambia anche in base a come la interpretiamo e la guardiamo.

Il brano del Vangelo di Luca che abbiamo appena ascoltato ci racconta le tentazioni che Gesù sperimenta, subito dopo il Battesimo, all’inizio del suo ministero pubblico: l’inganno che il tentatore propone a Gesù non è tanto nelle azioni, ma nella mentalità che ci sta sotto. In un crescendo di intensità – che giunge persino a strumentalizzare la Parola di Dio, nell’ultima tentazione – il Tentatore dipinge una realtà piegata al proprio desiderio – anche legittimo! –, una realtà centrata sul proprio ombelico, una realtà a propria misura e al proprio servizio.

Una realtà in cui l’identità di Figlio non è vissuta come dono, ma come mezzo che permette di imporsi, di sfruttare, di piegare le cose al proprio volere. Gesù smaschera abilmente le insidie e i tranelli: noi non siamo altrettanto bravi.

Il tempo di Quaresima, in cui siamo entrati con il rito delle Ceneri, non è il tempo della depressione perché sbagliamo, della penitenza ad ogni costo e dell’umiliazione: è il tempo in cui siamo invitati dalla Parola, dalla preghiera, dalla carità, da qualche rinuncia, a guardare con obiettività, con scientificità potremmo dire, alla nostra umanità, che è sempre in relazione con il creato, con le persone che ci circondano, con Dio. È il tempo in cui esercitarci a non essere centrati su noi stessi, sui nostri piccoli capricci, su quello che noi vogliamo o vorremmo, nel segreto di noi stessi. È il tempo in cui riappropriarci della nostra identità di figli e di figlie, della nostra identità che non è mai autosufficiente, ma che ha una storia, a volte anche faticosa, e un futuro. Non per impegno, ma per dono.

Il libro del Deuteronomio, che ripercorre le vicende di Israele sin dalla chiamata di Abramo, ci ha ricordato che il cammino percorso è sempre stato custodito da Dio, è sempre stato abitato da Lui, è colmato della Sua presenza. E le righe di Paolo alla comunità di Roma ci ricordano che il futuro della nostra storia, di quello che siamo, è nelle mani di Dio: la Pasqua che abbiamo davanti e che costituisce la meta del nostro cammino quaresimale è l’anticipo, la caparra, la certezza che Dio non ci abbandona nel buio della morte, che l’agire di Dio non riguarda solo il nostro passato, ma anche e soprattutto il nostro futuro, che possiamo accogliere come un dono nascosto anche nella vita di ogni giorno, per grazia, nella fede.

Se potessimo prendere la nostra vita come un bicchiere, probabilmente la vedremmo anche noi mezza piena o mezza vuota: i grandi maestri dello Spirito ci insegnano che, nel considerare la nostra vita, saremmo tentati di deformare, addolcire, disperare o esaltare. Dio guarda alla nostra vita per quello che è, ma senza appiattirci sul presente: sa che c’è un passato, ma apre possibilità di futuro. Continuamente. Sempre. Sa che la nostra libertà è un tesoro prezioso ma fragile, che può rinchiudersi e imprigionarsi nelle trappole del male, ma anche volare, costruire, diventare vita per gli altri. Verso questa libertà vogliamo camminare, con entusiasmo e con convinzione: è la libertà che la Pasqua ci dona. È la libertà che la tentazione minaccia, che irretisce in trame insensate e senza sbocco, promettendo che non ci saranno conseguenze, ma abbandonandoci poi al nostro destino. È la libertà che Gesù sblocca, come possibilità e come dono, perché ci riconduce all’identità di figli e figlie amati e, per questo, liberi. Liberati.