A cura di don Sandro De Gasperi (3ª domenica di Quaresima - anno C)

Il nome di Dio

Consegnare il proprio nome è esporsi alla fiducia dell’altro, instaurare una relazione

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«Come ti chiami?». Chiunque abbia imparato una lingua straniera – che lo abbia fatto sui banchi di scuola o per passione o per motivi di lavoro – ha imparato, per prima cosa, a rispondere a questa domanda. Consegnare il proprio nome è affermare la propria identità, esporsi alla fiducia dell’altro, instaurare una relazione.

Nel brano dell’Esodo che abbiamo ascoltato – un passaggio assolutamente centrale dell’esperienza del popolo d’Israele –, Dio si presenta a Mosè: se il nome di Dio, ancora oggi, non può essere nominato per Israele, perché rimane totalmente Altro, totalmente Indisponibile, totalmente fuori dal dominio di chiunque, esso non è completamente sconosciuto. Il popolo può scoprire come agisce Dio e cercare di definire la Sua identità a partire dall’intervento di Dio nella storia: Dio è Colui che ascolta, che si china sulla fatica e sul dolore del Suo popolo, che viene a liberarlo da ogni schiavitù. Dio è Colui che sceglie tra gli uomini degli amici, degli alleati, dei collaboratori per rendere concreta, visibile e palpabile la Sua opera di salvezza. Dio è Colui che abita le storie imperfette degli uomini, che innesta in esse il seme della promessa e dell’eternità, che rimane fedele anche nell’infedeltà.

he cosa c’entra tutto questo con la pagina del Vangelo di Luca che ci accompagna in questa terza domenica del cammino quaresimale? È in gioco il volto di Dio di fronte a cui noi «viviamo, ci muoviamo ed esistiamo” (cfr. At 17, 28): neppure dopo duemila anni di Cristianesimo è tramontata la tentazione di vedere Dio come un giudice implacabile, che punisce i peccatori, che fa accadere disgrazie a chi non si comporta bene. Neppure dopo duemila anni di Cristianesimo abbiamo lasciato l’idea che Dio guardi più a quello che facciamo che a quello che siamo, più ai nostri comportamenti che alla nostra identità.

Se la Quaresima è il tempo della conversione e del ritorno a Dio, essa è orientata dal Mistero Pasquale, dalla Morte e Risurrezione di Gesù, dal momento supremo in cui Dio si rivela pienamente a noi. Non come Colui che punisce, ma come Colui che ama. Non come l’abitante eterno e irraggiungibile dei cieli, ma come il Figlio che si consegna nelle mani degli uomini. Non come Colui che ride delle nostre sventure, del dolore che subiamo e che provochiamo, della morte che ferisce la nostra natura umana, ma come Colui che l’attraversa, che la vince e che ci porta con Sé nella vittoria su tutto quello che è nulla, che è buio, che è male. Dio è Colui che ha pazienza con le nostre sterilità, che le tramuta in nuove occasioni per portare frutto non con la forza della punizione e della minaccia, ma con la benevolenza, con la misericordia, con l’amore.

«Benedici il Signore, anima mia»: la preghiera di Davide, la preghiera di Israele, dà voce all’esperienza di Dio che anche noi condividiamo in questa domenica. E che ci rimette in cammino. Liberi dalla paura. Liberi dalle spiegazioni semplicistiche. Liberi di assumere la realtà con tutte le sue contraddizioni e le sue fatiche. Consapevoli che il nome di Dio è appena intuito, che deve ancora terminare il Suo lavoro. Che, nella nostra storia, nelle nostre storie, è custodito un tesoro di fedeltà e di amore che sta maturando, che si nutre delle nostre scelte quotidiane e che è incamminato verso la pienezza della gioia pasquale.