È l’argomento di canzoni, opere letterarie immortali, film, statue e dipinti, poesie, storie: attraversa le nostre giornate, le immagini che vediamo, i suoni che percepiamo. L’amore è l’enigmatico co-protagonista della nostra vita. Un indovinello tedesco, tratto da un’antica leggenda, lo descrive pressappoco così: «Non si può ascoltare, non si può vedere, fa spesso male e tuttavia è bello, non è vino ma scorre nel sangue e si sente forte. Non è oro ma arricchisce, un cuore di pietra grazie all’amore diventa tenero, non è fuoco ma brucia».
Siamo nel cuore dell’Ultima Cena: i discepoli, ammutoliti dopo la fuga di Giuda, attendono che Gesù riveli il significato del momento che stanno vivendo, che avvertono denso e importante eppure difficile e duro. «Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri»: poche parole, lapidarie. Le parole che gli Apostoli ricorderanno sotto la croce e poi la mattina di Pasqua e poi ancora nei viaggi per annunciare la Parola, sorretti dallo Spirito Santo di Dio, sono consegnate a loro dopo la Lavanda dei Piedi, dopo la scoperta terribile del tradimento: Gesù non lascia parole vuote o buoni consigli. Lascia la concretezza di un gesto spiazzante, di un gesto da servi, di un gesto che Lui, il Maestro, ha compiuto per primo. Lascia la libertà, perché l’amore non si impone, ma si propone, a rischio di essere gettato via, disprezzato e calpestato. Lascia la Sua persona, il Suo esempio, perché l’amore non è una dottrina o un insieme equilibrato di nozioni, ma una relazione tra persone vere. Il comandamento di Gesù – già presente nell’Antico Testamento – è reso nuovo non tanto cronologicamente, quanto qualitativamente: nel Mistero Pasquale che oggi celebriamo, nella Passione e Risurrezione di Gesù in cui siamo stati immersi con il Battesimo, è racchiusa la sorgente della novità cristiana.
«Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri»: è una sfida anche per noi oggi, il testamento di Gesù. Una sfida alta, che sa di vita e di promessa. Lo sappiamo bene: nelle nostre comunità cristiane, non sempre prevale l’amore. I piccoli e meschini interessi personali, gli spazi e i ruoli di cui ci siamo indebitamente appropriati, i giudizi a cuor leggero spesso falsano la nostra testimonianza, la rendono poco appetibile e credibile. Il mondo che si contrappone alla Luce che in esso è venuta e che noi spesso confondiamo con le realtà “non ecclesiali” vizia i nostri comportamenti, il nostro stile, il nostro parlare e pensare all’interno della Chiesa, senza che noi ci preoccupiamo, convinti magari di essere nella verità e nel giusto.
In un’opera in cui difendeva il Cristianesimo dagli attacchi dei filosofi e degli scrittori pagani, Tertulliano, padre della Chiesa vissuto tra il II e il III secolo, scrive: «Guardate come si amano fra loro, e come gli uni per gli altri son disposti a morire». Qui sta la chiave del nostro annuncio, qui la verifica della sua autenticità, qui la sua prova più inequivocabile: la Chiesa – noi tutti e tutte! – siamo chiamati a essere «tenda di Dio con gli uomini» non con la forza e la possenza delle nostre strutture, ma con l’accoglienza del nostro amore, con il servizio gratuito e disinteressato – anche in perdita! –, con il nostro chinarci e servirci a vicenda, con la sopportazione paziente dei nostri difetti e delle nostre incoerenze, con la correzione fraterna.
Il comandamento di Gesù è nuovo anche per noi oggi: «Non è oro ma arricchisce, un cuore di pietra (il nostro, anzitutto!) grazie all’amore diventa tenero, non è fuoco ma brucia». E dà un sapore nuovo alla vita, perché la trasfigura e la riempie di Dio.