Pastorale della salute - Incontro formativo del 19 giugno

La cura è nel nostro Dna

Una comunità aperta a tutti cerca chi non si vede da un po’

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Giovedì 19 giugno, al Centro Papa Luciani, si è svolto l’incontro formativo di Pastorale della Salute. Il vescovo Renato Marangoni ha introdotto la mattinata e il Direttore generale dell’Ulss Dolomiti 1, ha portato i suoi saluti, auspicando di proseguire il cammino di collaborazione con la diocesi.

Gli ospiti della mattinata sono stati don Massimo Angelelli, direttore dell’Ufficio di pastorale della salute della CEI, insieme a Paola Garbin e Mirella Panigas, della collaborazione parrocchiale di Sospirolo, Gron e Mas-Peron.
A don Massimo è stato affidato il compito di guidarci dentro la riflessione su come le comunità cristiane possano diventare comunità sananti, segni di speranza nei vissuti della malattia e della fragilità; a Paola e Mirella è stato chiesto di portare la loro testimonianza su come è resa concreta, nella loro realtà, l’attenzione a chi è più solo.

Don Massimo ha portato all’attenzione il concetto attuale di salute: non è la semplice mancanza di malattia, ma una realtà dinamica in cui le dimensioni dell’uomo (biologica, ambientale, psicologica, spirituale) sono in continuo rapporto. Quindi la salute è qualcosa di estremamente complesso e “chiede equilibrio”. Nel linguaggio corrente, spesso i concetti di dolore e di sofferenza sono usati erroneamente come sinonimi. In realtà, questi concetti danno voce a dimensioni diverse del vissuto: il dolore comprende la dimensione biologica della vita ed è quello in cui la medicina può intervenire. La sofferenza, invece, tocca le dimensioni più profonde dell’umano, come quella psicologica e spirituale che possono essere vissute anche in assenza di malattia o dolore. Un esempio utilizzato per esplicitare il concetto è stato quello dei tradimenti affettivi: a causa loro si vive una profonda sofferenza interiore, ma senza dolore fisico.

Nella nostra società, ha sottolineato don Massimo, «tante volte noi curiamo la sofferenza come curiamo il dolore, ma non va bene. La sofferenza ha bisogno di una risposta relazionale. È urgente che le comunità cristiane prendano in carico questo appello».

La solitudine relazionale sta diventando il primo problema in Italia e don Massimo ha ricordato che le comunità cristiane, nel loro Dna, hanno la missione di prendersi cura del prossimo, dal mandato che Gesù stesso ha dato attraverso il comandamento dell’amore. «Per la testimonianza non può esserci delega, è compito di ciascuno di noi. Ce lo chiede il Vangelo. C’è bisogno di comunità che si fanno carico delle relazioni ferite dei loro fratelli e sorelle, senza lasciare indietro nessuno, che vadano a cercare chi non si vede più da un po’. Non solo i credenti, ma tutti, perché devono sapere che la comunità è aperta a tutti. In questo movimento verso gli altri, i cuori vengono risanati. Auguro a tutti di prenderci cura di queste ferite» ha concluso don Massimo.
Anche come ufficio diocesano ci auguriamo che gli appelli e le riflessioni che sono sorti da questa mattinata formativa, anche grazie alla testimonianza di Paola e Mirella, possano essere piccoli semi sparsi, capaci di portare frutto nel territorio e nelle variegate comunità parrocchiali; non per il dovere di “fare qualcosa” ma per il desiderio di creare sempre di più spazi di incontro e fraternità veri, di Vangelo vissuto perché è nel nostro Dna, è ciò che ci rende vivi.

sorella Miriam Lessio