Storia del Giubileo - 28

Non famiglie reali, ma semplici fedeli

Un segno su 19 monti italiani, per noi sul Grappa

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La mattina del 24 dicembre 1899, Leone XIII presiedette il rito di apertura della porta santa nella basilica vaticana. La celebrazione fu particolarmente solenne, accompagnata dai canti della Cappella Sistina magistralmente diretta da Lorenzo Perosi. Tutti i vescovi del mondo avevano concorso a far dono al papa del martello d’oro, finemente cesellato, per il rito di apertura. Era da tre quarti di secolo che non si svolgeva un rito tale in San Pietro. La prevedibile lunghezza della celebrazione avevan spinto i collaboratori del Papa a invitarlo con insistenza a delegare la presidenza a un cardinale. Ma Leone XIII «si mostrò irremovibile, maltrattò coloro che lo esortavano a trattenersi dall’intervenire, volle che ogni opposizione cessasse». A informarci è una fonte di particolare valore: il diario di Giuseppe Manfroni, commissario di Polizia, che dall’ingresso degli italiani a Roma (1870) era a capo del distaccamento a Borgo Pio e rappresentava l’autorità dello Stato italiano sulla soglia del Vaticano, ruolo delicato e che necessitava di cautela e tatto. La sua testimonianza sul giubileo è preziosa, ancora di più di quella dei cronisti vaticani, nei quali non manca un tono di compiacimento, pur legittimo. Con particolare precisione, il commissario Manfroni ci informa sull’andamento delle udienze pubbliche del Papa e sul flusso dei pellegrini. Per la prima volta, rispetto ai secoli passati, non giunsero pellegrini a Roma membri di famiglie reali, ma protagonisti furono i semplici fedeli.

Questo giubileo aveva una particolarità speciale: era il primo solennemente celebrato dopo che Roma era stata annessa al regno d’Italia e non era più governata dal Papa. Le autorità pubbliche italiane non potevano ignorare la singolarità dell’evento, che avrebbe suscitato ampia attrattiva tra la popolazione. La Camera e il Senato, accodandosi ad uno stringato intervento del re Umberto I, formularono dei messaggi augurali improntati a rispetto e distacco ad un tempo. Da trent’anni che era terminato il potere temporale si era attutito il muro contro muro tra classe politica liberale e la Santa Sede. Tra i parlamentari italiani (che rappresentavano esclusivamente la classe abbiente del paese) un discreto numero aveva allacciato buoni rapporti con i cattolici liberali, mossi gli uni e gli altri dalla comune preoccupazione davanti alla crescita del movimento socialista. La reciproca buona disposizione, portò l’autorità italiana a impedire la celebrazione del Congresso Nazionale Anticlericale, che voleva essere polemico contraltare al giubileo.

Eppure da chi ricopriva responsabilità di governo, restava sempre quel voler rimarcare la propria esclusiva autorità su Roma. Il commissario Manfroni, con la tipica onestà intellettuale che caratterizza il suo diario, mette a confronto i due interlocutori tra i quali teneva i contatti e considera che «non tutti coloro che dalla parte nostra sopraintendevano alle cose pubbliche si mostrarono pazienti e ben disposti e talvolta mi procurarono amarezze e dispiaceri non lievi», mentre egli ricorda come le autorità ecclesiastiche mostrarono una maggiore duttilità, favorita anche dal suo non intervenire di autorità: «il Comitato dei pellegrinaggi, il Vicariato e la Segreteria di Stato accolsero più volte i consigli nostri di rinunciare a formalità esteriori o di darne loro aspetto meno appariscente». Raffaele de Cesare, deputato liberale e giornalista attento osservatore di cose vaticane, lascia una testimonianza non sospetta di partigianeria e di indubbio interesse: «non si può non riconoscere che l’Anno Santo abbia popolato Roma di pellegrini. L’organizzazione dei pellegrinaggi è mirabile. Questi pellegrini danno la prova che il Papato oggi è la maggior forza gerarchica che sia nel mondo».

Tra i grandi eventi che costellarono il giubileo vi fu la canonizzazione di san Giovanni Battista de la Salle e di santa Rita da Cascia (24 maggio). Una serie di Congressi: della gioventù, degli universitari cattolici, dei Terziari francescani; il congresso di oltre mille studiosi di archeologia cristiana e cristianesimo antico, sotto la presidenza del grande storico mons. Louis Duchesne.

Fin dal 12 agosto 1899, Leone XIII aveva affidato al Comitato dell’Anno Santo, presieduto dal cardinal Domenico Jacobini, il compito di erigere «sopra diciannove monti d’Italia, dalle Alpi alle Madonie altrettanti ricordi di omaggio al Redentore, quanti sono finora i secoli della Redenzione cristiana». In vescovi veneti decisero di erigere tale memoria sulla cima del Monte Grappa ponendo una statua bronzea della Vergine Maria col titolo di “Madonna delle genti venete” La cerimonia di inaugurazione del sacello si svolse il 4 agosto del 1901, e fu presieduta dal patriarca di Venezia, il cardinale Giuseppe Sarto. Questi, giusto due anni dopo, nel 1903, sempre il 4 agosto, fu eletto a succedere al defunto Leone XIII: iniziava così il pontificato di Pio X.

don Claudio Centa

Nella foto: papa Leone XIII con alcuni collaboratori, foto scattata nel 1900.