Giunti a casa, assonnati e non proprio intonsi, i nostri giovani portano nello zaino qualcosa di nuovo rispetto all’andata: è il bagaglio speciale e invisibile di ciò che rimane dentro.
Lo esprime Monica Mortagna, alla sua prima esperienza di cammino: «Mettersi in viaggio lento e fisicamente impegnativo ci ha permesso non solo di fare esperienza diretta della condivisione ma anche di avere il tempo per riflettere su cosa significasse l’invito del Papa ad essere portatori di speranza con delle domande diverse per ogni giornata. Riflettendo sui temi della libertà, della responsabilità e della gioia vera, è emersa la consapevolezza che come giovani si è pienamente parte della Chiesa e quindi chiamati ad esserne attivamente parte». Continua ancora Monica: «La nostra voce può essere autorevole, capace di portare il bene e l’amore, la pace e il rispetto. Come giovani cristiani essere pellegrini di speranza forse significa proprio percorrere ogni giorno la via di questi valori e testimoniarli nella vita da studenti, figli, colleghi e amici». Affermazioni forti che traggono origine da una consapevolezza di fede.
In questo senso il passaggio della Porta Santa in Laterano ha rappresentato un punto cruciale. Ce lo racconta Chiara Luchetta: «è stato molto toccante e intenso: nel sagrato della basilica è stata benedetta l’acqua battesimale e ognuno di noi ha fatto il segno della croce sulla fronte del proprio vicino. Varcare la Porta Santa è stato come varcare una soglia nella quale abbiamo portato con noi anche tutte le persone che da lontano ci hanno accompagnato». E infine il grande incontro di Tor Vergata, l’evento giubilare che per intensità e proporzioni resterà a lungo impresso in chi l’ha vissuto.
Micol Merotto, giovane di Farra di Soligo “adottata” in diocesi, non cela i suoi sentimenti: «I due giorni trascorsi a Roma sono stati estremamente suggestivi ed emozionanti. Mi ha colpito particolarmente vedere un’immensa moltitudine di giovani accampati, provenienti da tutto il mondo ma accomunati dallo stesso spirito di vita e di fede. Il Papa ci ha ricordato di aspirare a cose grandi, alla santità ovunque siamo, perché non esistono confini che tengano rispetto al potere della condivisione, alla voglia di conoscere, alla forza dell’amore».
Un’ultima voce porta la sua testimonianza: quella di un pellegrino un po’ speciale. È il vescovo Renato che narra ciò che ha significato per lui condividere fino in fondo un’avventura non proprio usuale per un presule. «Fin da quando è maturata l’idea ho desiderato unirmi al gruppo. Ora al rientro sono contento di questa esperienza e profondamente ammirato di come questi giovani con gli accompagnatori hanno caratterizzato la condivisione del cammino fatto nei luoghi francescani e poi confluito a Roma. Mi ha colpito la loro disponibilità a guardare con sincerità la loro vita. Desiderosi di essere ancorati su ciò che conta e vale, su ciò che apre il loro desiderio di futuro, sul bisogno di gioia piena che li anima, li ho sentiti “sul pezzo” e con le “mani in pasta”, già inseriti nella complessità di oggi che un certo mondo di adulti ignora». E proprio su questo aspetto don Renato approfondisce l’analisi. «Nel loro relazionarsi e guardarsi attorno li ho trovati sinceri anche in termini di ricerca religiosa e di fede: sgorga dalla loro interiorità una sensibilità che li rende aperti, senza sovrastrutture, bisognosi di ricerca fino a scoprire l’originalità della fede e anche dell’amicizia con Cristo». Ed è proprio questa, alla fine di questo viaggio, la parola che rimane: «Volersi bene in Cristo. L’amicizia può veramente cambiare il mondo, è una strada verso la pace. Con affetto dico loro: grazie!»
Erredienne