Is 61,1-3a; Sal 89 (88); Rm 12,3-13; Mt 25,31-40
Nella Vita di San Martino, che Sulpicio Severo scrisse nel 397 – anno in cui Martino morì – il racconto della scena più conosciuta e più rappresentata di lui è davvero commovente. Vi traspare tutto il fascino che la persona di Gesù ispirava a Martino. Così ne parla Sulpicio Severo: «Non ancora rigenerato in Cristo, egli si comportava per le sue opere di carità come un candidato al battesimo», senza «nulla riservare per sé del soldo della milizia, tranne che per il sostentamento quotidiano». Poi aggiunge: «Già allora ascoltatore non sordo degli insegnamenti del Vangelo, non si dava pensiero del domani».
È sorprendente questo vivere la propria vita spodestata a vantaggio degli altri. Martino sentiva che vivere era “oltre” se stesso. Ritrovava la sua vita più realizzata e palpitante in chi gli veniva incontro, in quella figura di povero a cui aveva donato parte del suo mantello. Non dovremmo forse riconoscerci tutti noi in quel povero che riceve vita da Martino?
Nella notte seguente, in sogno, al giovane Martino sembrò che Gesù Cristo indossasse ciò che egli aveva ceduto al povero e che dicesse: «Martino […] mi ha coperto con questa veste».
Alla luce della Parola del Vangelo appena ascoltato – a cui fanno eco le parole di Paolo indirizzate ai Romani – mi sembra che giunga a noi una domanda fondamentale che non possiamo evadere: a che cosa stiamo destinando il nostro vivere? Quando la vita di ciascuno di noi è “vera vita”, anzi una “vita buona”?
È la questione fondamentale attorno alla quale siamo tutti messi alla prova. Proprio tutti: in ogni situazione di vita, anche nelle nostre comunità, nelle nostre relazioni, nei nostri affetti e in tutto ciò che operiamo. In questi tempi la stessa domanda sta mettendo a dura prova i rapporti tra i popoli, tra parti di mondo in cui ci siamo schierati e divisi.
In realtà si tratta di una consapevolezza tanto antica, ma sempre nuova a cui dedicarci, da riconoscere con coraggio, da acquisire ancora, giorno dopo giorno, di situazione in situazione.
San Martino, lungo tutta la sua vita, ce l’ha testimoniata. Essa compare come appello e come convocazione in tutte situazioni in cui ci sono sensibilità e cura verso la vita.
Paolo ce l’ha richiamata nella sua essenzialità: «Ciascuno per la sua parte, siamo membra gli uni degli altri». Ciò comporta che ognuno di noi vive “degli altri”.
Invece il mondo della “mia vita”, come possesso mio o della mia parte, privo di questa appartenenza vicendevole, è un mondo che sta precipitando, non regge più, si autodistrugge… anche nei nostri piccoli mondi, in comunità e in famiglia.
Mi hanno colpito, nei giorni scorsi, le parole di un sindaco, che un quotidiano locale definiva “di mezzo” in riferimento al territorio della Provincia. Diceva: «Il Bellunese al momento è frammentato per valli: l’Ampezzano, il Cadore, il Comelico, lo Zoldano, il Longaronese, l’Alpago, la Valbelluna, il Feltrino, l’Agordino. Quante volte vediamo queste valli dialogare, interloquire fattivamente? Chi ha assunto il ruolo di “grande casa” di tutti i Bellunesi?».
Ecco l’appello, ecco la convocazione: «Ciascuno per la sua parte, siamo membra gli uni degli altri». Tutti dobbiamo assumere questa visione e questa cura.
Oggi ricorre, anche, una circostanza particolare per le nostre comunità parrocchiali. Abbiamo cercato di verificare come, in questi ultimi anni, abbiamo corrisposto a tale chiamata e missione come Chiesa in questo territorio: «Pur essendo molti, siamo un solo corpo in Cristo». Stiamo imparando nei fatti che se non diventiamo «membra gli uni degli altri» tra le nostre stesse comunità, rischiamo di spegnere la vitalità e la profezia della nostra testimonianza evangelica.
Ringraziamo oggi il Signore per il tratto di cammino fatto assieme tra comunità. Abbiamo riconosciuto dei germi di speranza nelle nostre fatiche. Verificheremo e approfondiremo ulteriormente tutto questo che, oggi, i Consigli pastorali presentano dopo di aver fatto le assemblee parrocchiali. Intendiamo consolidare la fraternità e la collaborazione tra parrocchie per un’azione di riconciliazione, di dialogo, dunque di futuro in questo nostro territorio: lo vogliamo “popolare” di fiducia, di stima, di condivisione, di presa su tutto il bene possibile.
Chiediamo l’intercessione di San Martino. Sulpicio Severo, a conclusione della Vita di San Martino, attesta di lui: «Mai altro era sulle sue labbra se non il Cristo; mai altro nel suo cuore se non la pietà, se non la pace, se non la misericordia».
