Ez 47,1-2.8-9.12; Sl 45(46); 1Cor 3,9c-11.16-17; Mt 2,13-22
«Voi siete edificio di Dio. […] Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? […] Santo è il tempio di Dio, che siete voi». Paolo scrive questo ai cristiani di Corinto. Oggi non solo l’eco, ma anche l’energia vitale di questa Parola raggiungono la comunità di Bolzano Bellunese, di Mussoi, di Tisoi. Ne siamo destinatari noi tutti qui raccolti in assemblea eucaristica. La Dedicazione della Basilica Lateranense – che in tutto il mondo oggi si celebra come festa – ha questo significato: «Voi siete tempio di Dio». La Basilica Lateranense è la prima cattedrale; vanta un’origine antica: 314. È la chiesa cattedrale del vescovo di Roma.
Mi colpisce il richiamo e la sollecitazione di Paolo: «Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi?». Sì, possiamo ammettere anche noi che “non sappiamo”, che cioè non ci rendiamo conto del dono di essere “Chiesa”, “tempio di Dio”. Voglio dire di più: non sappiamo abbastanza stupirci della bellezza di essere “Chiesa di Dio”. Non è un privilegio che ci isola dagli altri, né una medaglia di merito da esibire; non è neppure un’appartenenza particolare da nascondere o di cui vergognarci. Mi azzardo a dire: è “un amore”!
Permettetemi di ricordare le parole di Paolo VI, scritte qualche anno dopo di essere stato eletto papa: «Potrei dire che sempre l’ho amata; fu il suo amore che mi trasse fuori dal mio gretto e selvatico egoismo e mi avviò al suo servizio; e per essa, non per altro, mi sembra di aver vissuto. […] Vorrei abbracciarla, salutarla, amarla in ogni essere che la compone, in ogni Vescovo e sacerdote che l’assiste e la guida, in ogni anima che la vive e la illustra; benedirla» («Pensiero alla morte»).
Oggi, in particolare per le comunità parrocchiali di Bolzano, Mussoi, Tisoi, è un nuovo inizio per dare corpo e concretezza a questo amore. Per te don Gianni che, come dice Paolo VI, “assisterai” e “guiderai” queste comunità, si tratta di “amore” che può diventare uno “squisito amore”, quando ci si accoglie, ci si riconosce, si ha cura vicendevole, ci si ascolta, si elaborano gli inevitabili conflitti superandoli e ci si valorizza. È sempre questione di “amore”, così come Gesù, alla fine del quarto Vangelo, ci fa comprendere, ponendo la domanda decisiva a Simon Pietro: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami? […] mi vuoi bene?».
Ad aiutarti, caro don Gianni, ci sarà, in particolare, fra Elvio con la fraternità francescana. La presenza di fra Alessandro, il Ministro Provinciale, è segno di questo legame pastorale. È una storia d’amore la presenza dei frati cappuccini qui, fin da quando la parrocchia di Mussoi è stata affidata a loro negli anni ’40. Anche se non più assumendone la guida, questo amore continuerà con la loro presenza, testimonianza e servizio francescani.
Ma si tratta pure di “amore” da parte di ciascuno di voi che siete il tempio vivo di Dio in queste tre comunità che procederanno insieme, aiutandosi, confrontandosi, rinnovandosi. Ecco dove diventa concreto e si fa corpo l’amore per la Chiesa. L’amore semplice e autentico, a cui ci riferiamo, non comporta perfezione, eroismo, eccesso di prestazione. È, invece, il “pane quotidiano” spezzato e condiviso, come sempre celebriamo nell’Eucaristia.
Posso dire di averlo constatato molto concreto questo amore. Lo voglio dire: accanto all’amore dei parroci e amministratori parrocchiali che vi hanno servito (tra questi don Giorgio…), in questi ultimi anni sono rimasto ammirato di come hanno saputo aiutarsi tra loro e tenere le redini della collaborazione soprattutto i tre vicepresidenti dei Consigli pastorali: Giovanni, Ignazio e Andrea. Ho capito da loro che il bene più grande nelle nostre comunità, seppure fragili e a volte precarie, è volersi bene, è affidarsi alla sfida dell’amore.
Un ultimo pensiero viene da ciò che oggi il Vangelo narra di Gesù.
Ci chiediamo spesso che cosa diventeranno nel futuro le nostre comunità. Gesù ci dice che ciò che noi costruiamo – come il tempio materiale di Gerusalemme – si può distruggere. Lui, invece in tre giorni lo farebbe risorgere e si riferisce al suo corpo, annota l’evangelista. Questa è una parola di speranza che ci fa guardare con fiducia a tutta la storia e a tutta l’umanità: lo Spirito del risorto già ci abita, già abita questa travagliata vicenda umana.
