A cura di don Paolino Rossini (Natale di nostro Signore Gesù Cristo)

Una parola che ricomincia

Dio vuol scrivere con noi nuovi capitoli

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Alla Messa della notte

Dio si è manifestato in un bambino piccolo. Chiunque ha preso in braccio un bambino piccolo vede che esso è cosa impegnativa. Anche Dio è impegnativo: ha tante cose in comune con un bambino piccolo. Un neonato dipende totalmente dagli altri. Ci colpisce pensare che Dio si metta davanti a ciascuno di noi come un neonato. Si consegna a noi. Si mette nelle nostre mani. Mi chiede di prendermi cura di lui, del suo futuro, della sua vita.

Davanti a un neonato non ci si sente rassicurati, ma piuttosto ci si sente impegnati. In effetti non pare che Dio voglia essere rassicurante con noi: molte volte vuol essere scomodo. Come un bimbo piccolo, Dio è debole: non ci impone la sua parola. A volte Dio è un infante (infante vuol dire “uno che non parla”).

Anche nella passione, davanti a Pilato Gesù non parla. Dio è debole, si lascia consegnare, si lascia crocifiggere. Dio è debole: mi chiede di ascoltare il suo pianto, mi chiede che lo riconosca, che cerchi risposte a quel pianto.

Dio è l’umanità debole che piange e mi cerca. A volte i genitori davanti a un bambino piccolo sono preoccupati del suo futuro. Vogliono costruire il suo futuro.

Come un bambino possiamo aiutare Dio a crescere, a parlare, a vivere, ma non possiamo decidere noi della vita di Dio. La vita di Dio tra noi è come la vita di un figlio che cresce: è una vita che ci sorprende.

Chi sono i primi destinatari dell’annuncio che il Messia era nato? Persone non molto stimate, che vivevano ai margini della società e anche ai margini della vita religiosa. Forse non è un caso che la nascita di Gesù sia stata annunciata prima a loro: alla parte di umanità più lontana, non praticante, più povera, più emarginata.

Si ha l’impressione che oggi l’annuncio del Vangelo sia fatto ad altra categoria di persone: a persone praticanti, a gente che, tutto sommato sta abbastanza bene, a persone inserite nella società.

Questo contrasto ci interroga. Ci domandiamo: a chi rivolgiamo l’annuncio del salvatore? A chi ci preoccupiamo di dire che c’è un Dio misericordioso, pronto sempre ad accogliere e a perdonare?

I pastori si sono trovati a incrociare la storia di una famiglia in difficoltà, e quella storia non li ha lasciati indifferenti. Nonostante la loro lontananza e ignoranza, quella storia li ha colpiti, li ha commossi, li ha riempiti di gioia.

Quell’incontro ha cambiato la loro vita per quella notte e per quel giorno: noi ci chiediamo se il racconto del Vangelo cambia la nostra giornata, se ci lasciamo toccare dal Vangelo.

I pastori hanno trovato una coppia e un neonato e questo ha parlato loro di Dio. Siamo ancora capaci di stupirci e di sorprenderci della bellezza delle piccole cose?

Anche Maria cerca di capire il senso di quello che è avvenuto: conserva e medita. Le sono capitate davvero tante cose. Prova a fissare quello che ha scoperto, il suo incontro con Dio.

 

Alla Messa del giorno

«In principio era il Verbo»: così inizia il vangelo di Giovanni.

Non possiamo considerarlo come un libro già letto. Non sono libri già letti né i vangeli, né la Bibbia, né le persone e nemmeno noi stessi. Dio vuol scrivere con noi nuovi capitoli.

Non solo davanti agli altri, ma anche ripensando alla nostra storia si corre il rischio di farci l’idea che i giochi sono ormai fatti e che non ci sia più nulla da dire.

Invece, gli altri non devono starci davanti come libri già letti e film già visti. Perfino a noi stessi dobbiamo dare la possibilità di raccontare qualcosa di nuovo.

Davanti alla vita non lasciamoci schiacciare dal peso del nostro passato: un romanzo già troppo lungo per pensare che il racconto possa cambiare. Al contrario!

Dio continua a proporci di ricominciare. L’inizio del vangelo di Giovanni che abbiamo ascoltato riprende le parole del primo racconto della creazione: «In principio Dio disse… In principio era il Verbo». In entrambi i casi c’è una parola che ricomincia la conversazione.

Quando non ci diciamo più niente, piomba il silenzio tra noi e Dio. Come tra persone, quando non avessimo più il coraggio di farci sentire, la relazione non funziona più: qualcosa si è spezzato. È proprio allora che Dio propone di ricominciare a dialogare.

Prende lui l’iniziativa, ricomincia a parlare, chiede di fermarsi un momento ad ascoltare.

Era stato l’uomo dopo la creazione che aveva interrotto bruscamente quella conversazione.

L’uomo non aveva dato peso alle parole di Dio. È stato come quando ascoltiamo in modo distratto. Mentre qualcuno ci parla, stiamo già pensando a quello che dobbiamo fare dopo. Allora la relazione si spezza, mentre oggi Dio ci invita a ricominciare.

Quando parliamo, comunichiamo qualcosa di noi stessi, e sarebbe brutto non sentirsi ascoltati. Se non si ascolta, stiamo dicendo che per noi l’altro non conta niente.

Quando non si ascolta la parola di Dio, si mostra che la sua presenza nella nostra vita è irrilevante. Invece la parola di Dio è illuminante, è luce più di ogni altra parola perché rivela Dio. Dio si racconta, si comunica, si rende presente nella nostra storia.

La nostra storia è fatta anche di tenebre, è fatta anche di peccato, di dubbio, di dolore e cattiveria: ma è proprio lì che Dio vuol parlare. Dio vuol rischiarare il buio della vita per far vedere quello che c’è di buono.

La sua parola, proprio perché fa luce, permette a noi di attraversare l’oscurità del nostro tempo.

Non capiti di nuovo che i suoi non lo accolgano: «Venne tra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto». Che proprio i suoi non accolgano la luce e facciano finta di non sentire le sue parole!